La ricetta del "bandito delle Cayman" per uscire dalla crisi comprende anche un abbattimento delle tasse sul lavoro e un taglio netto alla spesa pubblica. E bisogna agire subito, perché "la sola differenza del costo dei finanziamenti tra Germania e Italia fa crollare gli utili delle nostre aziende del 15%"
“In Italia bisogna alzare le aliquote sulle rendite finanziarie e detassare il lavoro”. Davide Serra ha 42 anni, da 18 vive a Londra. Dopo una rapida carriera da analista di banche a Morgan Stanley, è diventato fondatore e partner del fondo di investimento Algebris che gestisce 1,4 miliardi di euro. Durante le primarie del Pd ha organizzato a Milano una cena di finanziamento per Matteo Renzi. Ed è diventato il “bandito delle Cayman” (lo disse Pier Luigi Bersani). La sua replica, contenuta anche in alcune querele per diffamazione, è che Algebris ha sede a Londra, si appoggia a una struttura alle Cayman per raccogliere i capitali per evitare che alcuni investitori, soprattutto americani, debbano pagare due volte le imposte. Ma la società, e Serra medesimo, le tasse le pagano a Londra (“lo scorso anno ho versato il 45 per cento”). Lo incontriamo a Milano. Al polso, Serra ha il solito orologio di plastica per distinguersi in un mondo di Patek Philippe.
Serra, lei ha dichiarato che la crisi è finita e che è il momento di tornare a investire nelle banche. Come mai tanto ottimismo?
Sui titoli dell’indice S&P 500 nessuno ha mai fatto stress test. Sul finanziario sì: sappiamo che succede se salgono i tassi di interesse, se i mercati scendono e così via. E il settore a livello internazionale è molto più solido che all’inizio della crisi. Le grandi banche continuano ad attirare capitale. A un certo punto l’acqua uscirà, come da una bottiglia ormai piena. E si tratterà di dividendi. Tempo due o tre anni. L’Italia però sembra bloccata nella spirale tra debito pubblico, banche fragili e bassa crescita. Abbiamo 6-7 mila miliardi di ricchezza al netto dei mutui, 3 tra liquidità e beni delle aziende, 2 mila miliardi di debito pubblico, mille di debito delle aziende, mille delle banche. Al netto siamo in attivo di sei. Ma la ricchezza è in capo ai privati, il debito è pubblico. Quindi lo Stato dovrebbe tagliare la spesa pubblica inefficiente e abbassare le tasse, togliendo le risorse all’apparato burocratico e rimettendole in circolazione per imprese e lavoratori.
Quanto a lungo possiamo ancora traccheggiare?
Poco. Prendiamo un’azienda italiana e una tedesca, identiche. La sola differenza di costo dei finanziamenti abbatte gli utili di quella italiana del 15 per cento circa, non può fare investimenti, paga l’energia il 30 per cento in più, ha un costo del lavoro di circa il 20 per cento più alto e un cuneo fiscale esagerato. Stiamo mettendo in un angolo le nostre aziende. E anche i giovani, la lotta intergenerazionale è devastante.
Bisogna togliere qualcosa alla generazione dei padri?
Abbatti le pensioni d’oro e quelle ordinarie, rendi licenziabili tutti quelli sopra i 40 anni. Così magari i giovani avranno una possibilità: costano meno e, lavorando, un domani potrebbero avere una pensione. Il mercato del lavoro è troppo rigido. La riforma Fornero ha provato a cambiare le cose. Era fatta male, ha bloccato i vecchi dentro e le aziende non hanno assunto i giovani. In Italia si era creata la flessibilità delle partita Iva e la Fornero l’ha tolta. Stavo valutando un’azienda che ha cinque negozi: quando c’erano i picchi di domanda prendeva lavoratori stagionali. Adesso non può farlo, troppa burocrazia. La vera debolezza dell’Italia sono i burocrati: tra i primi 10 mila ne licenzierei 5 mila.
Non sarà tutta colpa degli statali…
Anche le aziende private sono piene di persone non più produttive e motivate, ma che non potranno essere licenziate. Ogni anno bisognerebbe mandare via il bottom five, il 5 per cento peggiore dei dipendenti. Non per ridurre il personale, ma per avere ricambio e un mercato del lavoro dinamico, con un sistema più efficiente con ammortizzatori fiscali mirati. Così tutti sono più motivati, va premiato il merito.
Qual è il principale rischio macroeconomico per l’Italia?
L’incapacità di fare le riforme. Se questo governo non applica presto il mandato affidatogli dal presidente Napolitano, sarà un disastro. Da qui a Natale vanno fatte almeno 3-4 riforme.
La prima cosa da fare?
Tagliare la spesa pubblica. Togliere le Province, accorpare i Comuni piccoli. E aumentare le aliquote sulle rendite finanziarie, dal 20 fino al 30-35 per cento. Con quello che si ricava si abbassano Irpef e Ires. L’obiezione è sempre che così scappano i capitali all’estero. Facciamoli scappare, vediamo dove vanno. In tutto il mondo il capitale paga l’aliquota marginale. In Inghilterra pago il 40 per cento, perché qua solo il 20? In Italia se lavori sei tassato al 40 per cento, se hai un’azienda al 50, se investi i soldi il 20.
Che senso ha?
L’unica cosa da non toccare è l’aliquota sui titoli di Stato, abbiamo troppo debito. Il bravo ad di Luxottica, Andrea Guerra, ha incassato in un giorno 40 milioni con le sue stock option.
Troppo?
Le stock option vanno benissimo, ma dovrebbero essere tassate ad aliquota marginale e avere lunga durata. Quelle che non condivido sono le stock option a breve, che possono spingere i vertici a fare falsi in bilancio per un proprio guadagno. I banchieri andrebbero pagati con contingent convertible, i coco bond: se le cose vanno male perdono tutto.
Lei legge i giornali italiani?
No. L’Italia rappresenta solo il 2 per cento del Pil mondiale. Leggo per lavoro, quindi preferisco Financial Times, Les Echos, New York Times. E le agenzie Bloomberg e Reuters . Sui vostri quotidiani ci sono troppe pagine di politica. Vuoto pneumatico. Di italiano guardo solo i bollettini della Banca d’Italia e della Ragioneria.
Ha ancora fiducia in Matteo Renzi?
Certo. È ovvio che se Matteo fosse stato il candidato del centrosinistra avrebbe vinto le elezioni. Ma avrebbe messo in pericolo le posizioni di chi ha sempre lavorato per il partito e che, vinca o perda, avrà sempre il suo stipendio. Nel 2008 io contestavo un presidente ottantenne alla guida delle Generali che non aveva visione del futuro e non faceva l’interesse degli azionisti. Oggi il nostro sogno si è avverato e c’è un amministratore delegato fuoriclasse come Mario Greco, il suo piano industriale rispecchia quello che Algebris aveva suggerito all’epoca. Ci sono voluti cinque anni, poi le cose sono cambiate. In politica confido possa succedere la stessa cosa.
da Il Fatto Quotidiano del 27 giugno 2013