Alcuni senatori del M5S hanno presentato un disegno di legge per togliere alle Regioni le competenze in materia sanitaria e restituirle allo Stato centrale. Analoghe iniziative legislative sono state prese dal Pdl e da Lista Civica. Se per la seconda volta si vuole modificare la Costituzione (art 117 titolo V) è perché alle Regioni si imputano delle colpe, alcune delle quali certamente giustificate, altre no.
Ma qual è il problema? Definire per la sanità un modello di governo adeguato. Quando i senatori M5S dicono che vi sono problemi di diseguaglianze pensano che ciò sia causato da una governance sbagliata. Quando il centrodestra dice che le Regioni sono le responsabili dei problemi finanziari della sanità anche esso pensa che ciò dipenda da una governance che non sa gestire la spesa. Cambiando “semplicemente” la governance si crede di risolvere tutti i problemi della sanità. Troppo semplice. Il punto cruciale è che dopo un federalismo finto e posticcio e i devastanti tagli lineari siamo di fronte a un cambio della visione politica: le Regioni da “soluzioni” sono diventate “problema”: “la spesa sanitaria o le diseguaglianze sono un problema regionale… le Regioni sono un problema finanziario e di giustizia sociale… tagliamo le Regioni… per tagliare la spesa e fare più omogeneità”. Siamo in piena logica lineare.
Onestamente non credo che la governance sia un problema solo istituzionale. Aristotele non separare mai la “forma di governo” dalle “capacità di comando”. Governance vuol dire coniugare comando, pensiero, contesti, strategia, azione. Il problema vero è che sino ad ora non ci siamo riusciti. Tanto per cominciare lo Stato centrale a partire dagli anni ’80 non ha mai smesso di governare finanziariamente la sanità. Da 30 anni vi è un vero e proprio “spending power” che ha dominato su tutto e su tutti. Dal canto loro Regioni e aziende nonostante i tanti poteri si sono dimostrate soggetti istituzionali mediocri, maneggioni, a volte corrotti, senza un pensiero riformatore di governo. Abbiamo aziendalizzato le Usl con le logiche manifatturiere della Bocconi sostituendo un genere di burocrazia con un altro genere di burocrazia. Abbiamo dato un mucchio di poteri alle Regioni senza condizionare la distribuzione delle risorse agli esiti. Se le Regioni e le aziende, escludendo le lodevoli eccezioni, avessero davvero fatto le Regioni e le aziende non saremmo a discutere di governance.
Ribadisco: non nego che vi sia un problema di governo della sanità, ma per me si tratta di reinventare un sistema di relazioni non solo tra istituzioni concorrenti e esclusive ma soprattutto tra istituzioni, cittadini, sanità e operatori.
Che poi era l’obiettivo mancato del cosiddetto federalismo. Penso che tornare al centralismo amministrativo degli anni ’70 sia una scelta regressiva. Dire che il federalismo è fallito quando in realtà non è mai nato è una affermazione incauta. Siamo rimasti nonostante il titolo V nella logica dell’ircocervo “decentramento amministrativo più accentramento finanziario” e senza mettere mano mai ad un aggiornamento culturale dell’universalismo. Ancora oggi facciamo universalismo con criteri rozzi e superati e siamo lontano mille miglia dalle concezioni moderne di universalismo discreto cioè un universalismo che non suppone uguaglianze convenzionali ma usa le differenze per fare effettivamente più eguaglianza. Come meravigliarsi se crescono le diseguaglianze? Ancora crediamo che bastino i Lea (Livelli essenziali di assistenza) a garantire l’universalismo quando come è noto così non è. L’uguaglianza vera non si ha solo con gli input ma soprattutto con gli outcome. Abbiamo bisogno di una governance nella quale tutte le autonomie in gioco (istituzionali, sociali, professionali, tecniche, gestionali ecc) siano garantite ma anche controbilanciate da precise responsabilità. Oggi non si può dare più niente a nessuno senza delle contropartite. I nuovi condizionali si chiamano “effetti effettivi” cioè esiti. E i risultati effettivi attesi debbono essere quelli della salute, dei diritti, della qualità, dell’efficacia e della economicità, della moralità.
C’è una ultima questione: sino ad ora, a ogni livello istituzionale, nessuno, a partire dagli economisti, ha creduto nelle capacità dei soggetti, operatori e cittadini, e la governance si è espressa ad ogni livello solo come amministrazione di cose e di persone. A noi serve un’altra idea di governance che creda nelle capacità delle persone quindi una idea di governance estesa e diffusa. Senza le persone non si va da nessuna parte. Governo “delle ” persone o governo “con” le persone?
In conclusione:
1) è una semplificazione controriformare il Titolo V della Costituzione anche se il Titolo V deve essere aggiustato;
2) gli schemi di governo non devono essere indipendenti dalla strategie che si vogliono perseguire e dai risultati attesi
3)la chiave di volta che propongo è “equilibrio”
Nella sanità sono squilibrati i rapporti tra tutti i soggetti coinvolti. Gli squilibri costano (“costi transazionali”). Il nostro modello di governance è sovraccarico di questi costi. Una nuova governance quindi sarebbe la prima vera misura di risparmio.
La mia proposta? “Soluzione Montesquieu”.