Le tre ragazze Femen arrestate perché han protestato a seno nudo. Condannate a 4 mesi senza condizionale, il che non era ancora accaduto nei mondi dove manifestano le Femen. Poi scarcerate al processo d’appello ma con la condanna confermata. Amina, la Femen tunisina origine del caso, in carcere dal 19 maggio solo per essersi presentata a Kairuan e aver fatto una scritta sul muretto. E’ questa la Tunisia? Weld 15, il rapper condannato a due anni di carcere senza condizionale per una canzone di insulti alla polizia, un linguaggio rap minaccioso sì ma che in tanti altri paesi del mondo non porta in carcere. E’ questa la Tunisia? Jabeur el Mejhri, giovane condannato a 7 anni di prigione per oltraggio alla religione per aver pubblicato – su Facebook! – vignette su Maometto di cui neanche era l ‘autore . Un caso di cui si stanno occupando Amnesty e altre organizzazioni, tanto è clamoroso. Il paese della speranza democratico-rivoluzionaria del 2011 è scivolato così indietro?
Ma la Tunisia è anche il paese di chi porta alla luce questi casi, di chi li contrasta, di chi difende questi imputati, anche quando non è popolare farlo. E’ il paese di Souhaib Bahri, un ragazzone di quasi due metri svelto preciso e poco prolisso che si è presentato spontaneamente per difendere Amina, e lo fa a sue spese, nessuno lo paga. Certo, lo fa anche per farsi conoscere, per farsi pubblicità, e lo ammette (“per noi giovani avvocati è fondamentale farci conoscere”). Ma si è fatto avanti per primo, quando nessuno osava difenderla. “E’ stata arrestata la domenica, tre giorni dopo ero la prima persona in assoluto che chiedeva di vederla.” Souhaib Bahri non vuole politicizzare troppo il discorso, ma fa parte di quella Tunisia irriducibilmente laica che lo porta a dire – ” lo scriva pure, mi sconcerta molto di più un volto nascosto dal velo integrale, dal niqab, che un seno femminile scoperto.” Tra gli avvocati, come in altre professioni liberali e analoghi ambienti sociali, non c’è partita. Il candidato islamista alla presidenza dell’ordine degli avvocati è stato sonoramente sconfitto dal candidato laico, 85 a 15. Diversa, anche se non necessariamente opposta, è la situazione nei ceti popolari. E ancora diversa – in tal caso opposta – è la reattività verso quelli che sono considerati tabù (vignette del Profeta o anche solo rappresentazioni della Divinità, nudi integrali, omosessualità dichiarata e poco altro) e sono considerati tali anche da una parte di quelli che noi chiameremmo laici. Sono queste 3 diverse dimensioni a comporre il quadro.
Parlando con Souhaib Bahri mi si conferma l’impressione che la sequenza di casi represssivi che abbiamo citato si componga di due dinamiche completamente diverse. Da una parte ci sono comportamenti repressivi da parte della polizia o della magistratura che potremmo ottimisticamente definire residuali in continuità col vecchio regime. Istintivamente, anche al di fuori di qualunque disegno politico e magari persino al di là e contro gli interessi del governo islamista, persistono modi di fare autoritari.
“Dopo che han deciso di scarcerare le Femen noi avvocati siamo andati ad attenderle all’uscita del carcere. Hanno ricevuto l’espulsione, ma questo non giustifica la cacciata dei giornalisti, il rifiuto di farcele incontrare, la corsa a 130 all’ora all’aeroporto etc.. Nessuno scopo particolare: il solito vecchio modo di fare.”
Spesso di ciò poi la polizia si scusa, mentre i magistrati si correggono, come han fatto in appello per le Femen sollecitati esplicitamente ( anche questo è curioso) dallo stesso capo del Governo ( ” se non lo fa la magistratura dovremo trovare un modo di scarcerarle” ha detto il Primo Ministro).
Altra cosa, altro ordine di idee e insieme di meccanismi, è il risultato della pressione islamista sulla magistratura. Questo non è residuale, ma è per certi versi del tutto nuovo, come per le associazioni di stampo islamista che denunciano comportamenti giudicati ostili alla religione e che chiedono continuamente di costituirsi parte civile. Nel caso del rapper, per esempio, invece, le pressioni islamiste non c’entrano niente.
La dimostrazione estrema della differenza tra la dinamica repressiva “pura” e quella sollecitata dagi islamisti si ha quando la polizia – e non è raro – usa il pugno di ferro contro i giovani arrabbiati mobilitati dai salafiti. Spesso c’entrano poco o niente con le bandiere nere e con i loro richiami, sarebbero a far barricate anche sotto altre bandiere. Ma quando il governo decide che bisogna far vedere che si prendono le distanze dai salafiti allora la polizia non esita a sparare e a uccidere qualcuno di questi ragazzi di borgata. Un gruppo di coraggiosi giovani giornalisti, insieme a Human Rights watch, sta scoprendo e denunciando queste storie.
Pressioni bigotte. Violenze della polizia. Sono tutto sommato cose che succedono nei periodi di transizione e di apprendistato. Del resto succedono anche da noi, che l’età dell’apprendistato l’abbiamo superata da un pezzo.
C’ è un volto nuovo in queste vicende, quello fresco e grazioso della 23 enne Yamina Thiabet, una studentessa d medicina che fa da presidente e portavoce alla Associazione per la Difesa delle Minoranze. Parla bene, è passionale ma precisissima nelle conferenze stampa.
Le chiedo “ma forti solo di qualche parola e delle vostre conferenze stampa , senza un movimento di massa alle spalle, ottenete risultati?” “Certo, mi risponde, li otteniamo perché documentiamo le nostre ragioni e perché la Tunisia non può sottrarsi ai diritti umani.”
C’è sempre da battagliate e vigilare, ma i risultati si ottengono, si possono ottenere non c’è un nuovo regime in via di consolidamento. E l’attenzione europea è molto importante.