Secondo appuntamento con la nuova rubrica del Fatto.it: Leonardo Coen, firma del giornalismo italiano, racconta il centesimo Tour de France tra cronaca, ricordi, retroscena e aneddoti

Apriti cielo! Il Tour conclude la sua prima trasferta nella meravigliosa Corsica, la corsa fin da subito è stata movimentata e ricca di imboscate, ma l’unico argomento che tiene banco è il doping. Il 18 luglio, proprio in concomitanza con la doppia scalata all’Alpe di Huez, salita feticcio della Grande Boucle, la commissione senatoriale francese svelerà il suo rapporto e renderà pubblici i nomi dei corridori che in anni ormai lontani, a cominciare dal 1998 – quando il Tour fu vinto da Marco Pantani – utilizzarono sostanze dopanti come l’Epo, che solo nel 2004 venne “intercettata” dai controlli, con sospetto ritardo (consentendo all’industria del doping di sviluppare altri prodotti non identificabili).

In Italia, da tempo, c’è un movimento trasversale di beatificazione del povero Pirata, figura drammatica ma pur sempre controversa del ciclismo. Morì per overdose di cocaina, il giorno di san Valentino del 2004, solo e disperato. Sull’onda emotiva di questa amarissima vicenda, si dimentica che a ridurre in quello stato Pantani furono certe frequentazioni assai poco raccomandabili, fuori ma anche dentro il mondo delle due ruote. D’altra parte, da noi ci sono “cantori” che hanno osannato persino Lance Armstrong, nonostante i dubbi e le polemiche accompagnavano le sue…stupefacenti prestazioni. Sono gli stessi che si indignano oggi se, leggendo l’Equipe, scoprono che Pat McQuaid, presidente dell’Uci (l’unione ciclistica internazionale) starebbe considerando “l’ipotesi” di cancellare dall’albo d’oro del Tour anche Pantani, in virtù di analisi fatte a posteriori sui test di quel 1998. Un’operazione macabra e emotivamente ignobile, ma purtroppo un conto sono i sentimenti, un altro i dati oggettivi di un’inchiesta. Si può dire che Pantani sarà ammazzato per la seconda volta.

Prima che il centesimo Tour pigliasse il via, una delegazione di cinque corridori, guidati dal decano del gruppo, il tedesco Jens Voigt che il 17 settembre compirà 42 anni (!), ha incontrato la ministra dello Sport Valerie Foumeyron per lamentarsi del “linciaggio mediatico” che sta colpendo il ciclismo, “questo accanimento ci offende, oltre che screditarci”, hanno detto i berluschini del pedale, “chiediamo che la pubblicazione del rapporto venga posposta a dopo la fine di questo Tour”. Un’indignazione che potrebbe sfociare in un’azione clamorosa. Lo sciopero del manubrio si può attuare in tanti modi: passeggiando a ritmi blandissimi; bloccandosi dopo un “via”; fermandosi ai piedi di una mitica salita…

In realtà, un metodo per ridare credibilità a questo bellissimo sport ci sarebbe: denunciare i pusher che avvelenano il gruppo. Isolare i tanti corridori che ricorrono alla farmacia proibita. Effettuare controlli sistematici e seri: la lista dei prodotti considerati dopanti è incompleta e sempre in ritardo rispetto allo spaccio. Il doping è sempre in fuga, e chi dovrebbe acchiapparlo fa finta di raggiungerlo. Il problema riguarda tutto lo sport, non solo il ciclismo che, agli occhi degli appassionati, sembra la vittima sacrificale di un sistema malato ed ipocrita. I corridori si sentono perseguitati perché sanno di non essere gli unici che ricorrono agli “aiutini”. In particolare, il calcio – vero totem dello sport mondiale – pare esente da controlli veri e ricorrenti. Almeno, questo è il mugugno del gruppo.

La crociata della Francia contro il doping è lodevole e mette paura ai furfanti del pedale, soprattutto inquieta gli sponsor che considerano il Tour una vetrina fantastica. E così, tra accuse di fondamentalismo sanitario e di truffa, il Tour consuma la sua leggenda incenerendo il suo passato più recente. Con qualche stranezza: perché cancellare Pantani e non Bjarne Riis, altro vincitore in odore d’imbroglio, che fece outing? Con Pantani, quel 1998, sul podio ci salirono pure Jan Ullrich (altro dopatone confesso) e l’americano Bobby Julich, che si pentì a bici appesa. Cento Tour, ma quanti vincitori “puliti”? Cancella qui, sbianca là, e vedi che resta ben poco, dal 1998, l’anno dello scandalo Festina, quando perlomeno si cominciò a portare in tribunale chi imbrogliava: da allora, chi corre a tutta manetta, rischia poi di finire in manette. Ve l’immaginate un Maigret in bicicletta, ad indagare nel gruppo?

Lettura consigliataLe procès du dopage. La vérité du jugement, Jean-Francois Quénet, ed. Solar 2001 

Articolo aggiornato da redazione web alle 15.15 

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