La Consulta ha vagliato il ricorso che ben nove Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise, Lazio, Campania, Friuli Venezia Giulia, Val d’Aosta e Sardegna, le ultime tre a “statuto speciale”), hanno intentato contro due decisioni del governo Monti sul taglio delle Province e la cancellazione delle elezioni per consigli provinciali e presidente della giunta. A difendere quattro delle nove Regioni ricorrenti davanti alla Corte costituzionale tre autorevoli esponenti della “commissione per le Riforme costituzionali” che si era data per obiettivo anche quello di abolire le Province e che ora sta accarezzando strade più concilianti di deleghe alle Regioni medesime (“decidano loro”) e “semplificazioni” non esattamente in linea con quanto dichiarato dai partiti di governo prima, durante e dopo la campagna elettorale. 

L’avvocato Beniamino Caravita di Toritto, professore di Diritto pubblico alla Sapienza da sempre convinto assertore della razionalizzazione (ma non dell’abolizione) degli enti provinciali, patrocina sia la Regione Campania che la Lombardia. Il collega Massimo Luciani, anche lui alla Sapienza come ordinario di Diritto costituzionale è l’avvocato difensore della Sardegna. Giandomenico Falcon, infine, esperto amministrativista di stanza all’ateneo di Trento, prenderà le parti del Friuli Venezia Giulia. Tutti e tre, filtra dalle riunioni della commissione intenta alla riforma della Costituzione, rappresentano la linea più conservatrice sul tema delle Province all’interno del dibattito tra saggi. 

Una situazione di macroscopico conflitto di interesse che ben fotografa la situazione in cui lo Stato prova faticosamente a riformarsi. Al ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello, lunedì, alcuni cronisti hanno domandato se, dopo tanti proclami, le Province saranno finalmente cancellate. Non ha tentennato, Quagliariello: “Sì”, ha detto. Aggiungendo: “C’è una generale disponibilità a considerare i cinque livelli attuali (Stato, Regioni, Province, città metropolitane e Comuni) assolutamente eccessivi. È necessario semplificare”.  Le strade della semplificazione, del resto, continuano a divergere anche su pressione di partiti e gruppi politici locali che vedono come una iattura l’idea di rinunciare a gestire filiere di interesse all’interno di enti che i loro segretari continuano a ritenere “inutili”. 

E qui sta l’altro conflitto di interesse grande come una casa. Il procedimento sollevato davanti alla Consulta investe infatti buona parte delle Regioni governate da uno dei due principali partiti che sostiene il governo Letta. Se si eccettuano Piemonte, Veneto e Val d’Aosta (le prime due a guida leghista, la terza di ispirazione autonomista), Lombardia (epoca Roberto Formigoni), Campania (Stefano Caldoro ), Lazio (epoca Renata Polverini), Sardegna (Ugo Cappellacci), Friuli Venezia Giulia (epoca Renzo Tondo) e Molise (epoca Michele Iorio) erano rette tutte dallo stesso partito dell’attuale ministro per le Riforme Quagliariello. Lo stesso partito che nelle aule parlamentari aveva votato a favore del provvedimento di abolizione. 

Nel paradosso tutto italiano, lunedì il presidente della Sardegna Cappellacci ha ribadito: “Con la soppressione delle Province (votata dal consiglio regionale sardo la scorsa settimana, ndr) i territori potranno riappropriarsi di un ruolo di autentica rappresentanza che la politica aveva attribuito ad entità create per esigenze proprie e non per quelle della comunità”. È lo stesso Cappellacci che ricorre alla Consulta.

di Eduardo Di Blasi e Wanda Marra dal Fatto Quotidiano del 2 luglio 2013

modificato da redazione web

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