Un filmato intenso e significativo ha introdotto, ieri, la presentazione del Rapporto Annuale Federculture 2013. Un filmato che ha messo drammaticamente in evidenza il quadro critico del sistema cultura. Siamo tra le macerie di una crisi che non risparmia questo comparto e che ha tutti i numeri per sollevarsi. Non è solo un Rapporto di denuncia, ma anche di proposte immediatamente attuabili con la complicità di una normativa da cambiare, radicalmente, per consentire di liberare risorse e iniziative concrete.
Per il sindaco Ignazio Marino, che ha introdotto la presentazione, questo Rapporto sollecita riflessioni attente e severe poiché la Capitale ha il dovere di ridare dignità alla propria storia. Se la cultura è la trama del progresso, occorrono politiche culturali che possano far ritrovare il benessere perduto unitamente ad una coesione sociale che rinsaldi la comunità e con essa la qualità della vita.
Per tutto questo, è necessaria una programmazione puntando sul capitale umano giovanile, al quale, però, non può mancare il sostegno attraverso azioni sostanziali; ad esempio, utilizzare gli spazi in fase di degrado per riconvertirli, riportando la cultura in tutte le periferie.
Il presidente di Fderculture, Roberto Grossi, con un intervento appassionato, ha messo in evidenza molti dati allarmanti. Con il ritorno in Campidoglio per la presentazione del Rapporto è stata data importanza al momento delle priorità delle scelte pubbliche con necessarie assunzioni di responsabilità non più delegabili. Manca in Italia quella coscienza che ci è stata nei momenti di crisi. Occorre acquisire consapevolezza e non agire con la logica dell’emergenza i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Per questo serve una strategia complessiva poiché con la luce della consapevolezza è possibile combattere il buio dell’indifferenza che limita l’accesso alla cultura rendendolo un privilegio e che non consente una “democrazia delle opportunità”.
Se la bellezza è un bene sociale e con essa la diffusione dei saperi come non pensare alla totale assenza di programmazione che ci fa perdere tempo e cifre come 1,3 miliardi di finanziamenti pubblici. Se non si esce dalla logica del “monumentalismo” tutto è davvero complicato con una burocrazia esasperante che non consente alle eccellenze, che pure ci sono, di portare avanti le attività. C’è un apparato, dunque, che soffoca le politiche attive, le buone pratiche, i buoni esempi.
Il bilancio italiano mortifica i tentativi di rilancio, se si pensa al budget francese nel quale vi sono voci specifiche e sostanziali per “aiutare” la cultura a crescere. Per questo è necessario un intervento pubblico per uscire dalla palude anche attraverso un fondo per la progettualità culturale che possa, in una logica di sistema, consentire lo sviluppo locale. Sul punto il ministero dovrebbe essere un centro di coordinamento delle politiche culturali e turistiche; una politica pubblica debole allontana i privati.
Per Grossi occorre abbandonare la figura del mecenate per passare dal found racing al project financing. Il brand Italia è tristemente fuori dalla classifica mondiale; occorre dunque reagire e presto affinché si possa salvare anzitutto l’Italia che vince e che resiste alle logiche di un mercato che ci sta comprando. Altro dato allarmante è la situazione delle famiglie che pagano il conto di misure sbagliate con il conseguente crollo dei consumi culturali. Nel 2012 la spesa delle famiglie italiane per cultura e ricreazione è scesa del 4,4%
Ecco, perchè occore riportare al centro i cittadini agendo sull’elemento prezzo con una detraibilità della spesa in cultura. Una leva fiscale che farebbe davvero bene alla circolazione delle risorse che possono irrorare il comparto.
Grossi insiste anche sulla separazione tra politica e gestione; le norme sono scoraggianti per qualsiasi tentativo. Bisogna liberare la capacità di investire senza fermi burocratici che danneggiano opportunità. Opportunità che sono state tolte ai giovani come dire: “togliere a Michelangelo un muro da affrescare”. La gestione del capitale umano è fondamentale per ripartire dalle persone. “Stiamo perdendo mani, chiudono botteghe di artigiani”. E invece servirebbe un piano per l’occupazione culturale con start up che possano animare i territori allo stesso modo di Verdi e Toscanini chiamati a rilanciare la Scala.
Molto bello il riferimento di Grossi all’educazione mazziniana e soprattutto al “modello italiano” del film Ladri di Biciclette per il quale Charlie Chaplin disse a Vittorio de Sica (che difese il made in Italy con la scelta dell’attore principale resistendo alle tentazioni americane): “Torni in Italia, qui è troppo presto per un film del genere”.
E’ da questi grandi esempi che si deve ripartire!
Il ministro Bray si è soffermato sulle scelte politiche casuali, che non hanno permesso di promuovere adeguatamente la cultura e il turismo quali leve di concreto sviluppo. Egli sostiene che il rapporto centro periferia è fondamentale anche in relazione a delle crisi di ideali che espongono la società al rischio deriva. E ricorda le parole di Napolitano di una cultura non solo strategica ma scelta di civiltà. Per il ministro il Rapporto offre una visione organizzata e propositiva che lo colloca come ottimo strumento dal quale ripartire, evidenziando però che nel budget ministeriale vi siano soltanto trentamila euro per la formazione. Nel fare sistema occorre superare la contrapposizione tra interessi individuali e collettivi con elementi innovativi che necessitano di una riforma dello Stato. La valorizzazione degli interessi complessivi permette di non avere contesti parcellizzati affinché i beni culturali vengano considerati quali beni comuni a tutti gli effetti.
La presenza poi, del ministro del Lavoro Enrico Giovannini ha rafforzato il legame con la cultura. Giovannini ha ricordato che nel Rapporto BES si fa proprio riferimento al bene cultura quale elemento rilevante di una società di benessere.
Quanto vengono in mente, per concludere, le parole, più volte evocate, di Alcide De Gasperi!
«Una è la nostra forza, la forza del lavoro e della cultura italiana, associate nella consapevolezza della nostra particolare civiltà».
Antonio Capitano
Saggista
Cultura - 2 Luglio 2013
Cultura, una strategia per il paese
Un filmato intenso e significativo ha introdotto, ieri, la presentazione del Rapporto Annuale Federculture 2013. Un filmato che ha messo drammaticamente in evidenza il quadro critico del sistema cultura. Siamo tra le macerie di una crisi che non risparmia questo comparto e che ha tutti i numeri per sollevarsi. Non è solo un Rapporto di denuncia, ma anche di proposte immediatamente attuabili con la complicità di una normativa da cambiare, radicalmente, per consentire di liberare risorse e iniziative concrete.
Per il sindaco Ignazio Marino, che ha introdotto la presentazione, questo Rapporto sollecita riflessioni attente e severe poiché la Capitale ha il dovere di ridare dignità alla propria storia. Se la cultura è la trama del progresso, occorrono politiche culturali che possano far ritrovare il benessere perduto unitamente ad una coesione sociale che rinsaldi la comunità e con essa la qualità della vita.
Per tutto questo, è necessaria una programmazione puntando sul capitale umano giovanile, al quale, però, non può mancare il sostegno attraverso azioni sostanziali; ad esempio, utilizzare gli spazi in fase di degrado per riconvertirli, riportando la cultura in tutte le periferie.
Il presidente di Fderculture, Roberto Grossi, con un intervento appassionato, ha messo in evidenza molti dati allarmanti. Con il ritorno in Campidoglio per la presentazione del Rapporto è stata data importanza al momento delle priorità delle scelte pubbliche con necessarie assunzioni di responsabilità non più delegabili. Manca in Italia quella coscienza che ci è stata nei momenti di crisi. Occorre acquisire consapevolezza e non agire con la logica dell’emergenza i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Per questo serve una strategia complessiva poiché con la luce della consapevolezza è possibile combattere il buio dell’indifferenza che limita l’accesso alla cultura rendendolo un privilegio e che non consente una “democrazia delle opportunità”.
Se la bellezza è un bene sociale e con essa la diffusione dei saperi come non pensare alla totale assenza di programmazione che ci fa perdere tempo e cifre come 1,3 miliardi di finanziamenti pubblici. Se non si esce dalla logica del “monumentalismo” tutto è davvero complicato con una burocrazia esasperante che non consente alle eccellenze, che pure ci sono, di portare avanti le attività. C’è un apparato, dunque, che soffoca le politiche attive, le buone pratiche, i buoni esempi.
Il bilancio italiano mortifica i tentativi di rilancio, se si pensa al budget francese nel quale vi sono voci specifiche e sostanziali per “aiutare” la cultura a crescere. Per questo è necessario un intervento pubblico per uscire dalla palude anche attraverso un fondo per la progettualità culturale che possa, in una logica di sistema, consentire lo sviluppo locale. Sul punto il ministero dovrebbe essere un centro di coordinamento delle politiche culturali e turistiche; una politica pubblica debole allontana i privati.
Per Grossi occorre abbandonare la figura del mecenate per passare dal found racing al project financing. Il brand Italia è tristemente fuori dalla classifica mondiale; occorre dunque reagire e presto affinché si possa salvare anzitutto l’Italia che vince e che resiste alle logiche di un mercato che ci sta comprando. Altro dato allarmante è la situazione delle famiglie che pagano il conto di misure sbagliate con il conseguente crollo dei consumi culturali. Nel 2012 la spesa delle famiglie italiane per cultura e ricreazione è scesa del 4,4%
Ecco, perchè occore riportare al centro i cittadini agendo sull’elemento prezzo con una detraibilità della spesa in cultura. Una leva fiscale che farebbe davvero bene alla circolazione delle risorse che possono irrorare il comparto.
Grossi insiste anche sulla separazione tra politica e gestione; le norme sono scoraggianti per qualsiasi tentativo. Bisogna liberare la capacità di investire senza fermi burocratici che danneggiano opportunità. Opportunità che sono state tolte ai giovani come dire: “togliere a Michelangelo un muro da affrescare”. La gestione del capitale umano è fondamentale per ripartire dalle persone. “Stiamo perdendo mani, chiudono botteghe di artigiani”. E invece servirebbe un piano per l’occupazione culturale con start up che possano animare i territori allo stesso modo di Verdi e Toscanini chiamati a rilanciare la Scala.
Molto bello il riferimento di Grossi all’educazione mazziniana e soprattutto al “modello italiano” del film Ladri di Biciclette per il quale Charlie Chaplin disse a Vittorio de Sica (che difese il made in Italy con la scelta dell’attore principale resistendo alle tentazioni americane): “Torni in Italia, qui è troppo presto per un film del genere”.
E’ da questi grandi esempi che si deve ripartire!
Il ministro Bray si è soffermato sulle scelte politiche casuali, che non hanno permesso di promuovere adeguatamente la cultura e il turismo quali leve di concreto sviluppo. Egli sostiene che il rapporto centro periferia è fondamentale anche in relazione a delle crisi di ideali che espongono la società al rischio deriva. E ricorda le parole di Napolitano di una cultura non solo strategica ma scelta di civiltà. Per il ministro il Rapporto offre una visione organizzata e propositiva che lo colloca come ottimo strumento dal quale ripartire, evidenziando però che nel budget ministeriale vi siano soltanto trentamila euro per la formazione. Nel fare sistema occorre superare la contrapposizione tra interessi individuali e collettivi con elementi innovativi che necessitano di una riforma dello Stato. La valorizzazione degli interessi complessivi permette di non avere contesti parcellizzati affinché i beni culturali vengano considerati quali beni comuni a tutti gli effetti.
La presenza poi, del ministro del Lavoro Enrico Giovannini ha rafforzato il legame con la cultura. Giovannini ha ricordato che nel Rapporto BES si fa proprio riferimento al bene cultura quale elemento rilevante di una società di benessere.
Quanto vengono in mente, per concludere, le parole, più volte evocate, di Alcide De Gasperi!
«Una è la nostra forza, la forza del lavoro e della cultura italiana, associate nella consapevolezza della nostra particolare civiltà».
Articolo Precedente
“Il quadro malato” di Sergio Rubini: la storia vera di Lorenzo Indrimi
Articolo Successivo
Reportage, il cortocircuito estremo nelle visioni di Antoine d’Agata
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
FQ Magazine
Frustrati e pieni di rabbia, “si dimettono all’improvviso nel momento più adatto per mettere in difficoltà l’azienda”: cos’è il Revenge Quitting
Fenicotteri rosa si schiantano contro le rocce del Monte Catria: “Colpa del maltempo, solo due esemplari sopravvissuti. Andavano a fare il nido”
“Zodiac è il Mostro di Firenze?” Fedez: “Una concatenazione di coincidenze molto strana”. Dagli identikit alle lettere anonime, il filo che lega gli omicidi
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - Ha un ruolo determinante come fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (Cv), ancora oggi prima causa di morte e disabilità al mondo. E' la lipoproteina (a), nota anche come Lp(a), condizione ereditaria nascosta nei geni di 1 persona su 5. Scoperta nel 1963 da Kåre Berg, il suo rapporto causale con la malattia coronarica e l'infarto del miocardio è stato definito in modo inequivocabile nel 2009 con lo studio genetico realizzato dal consorzio europeo di ricerca Procardis. Ampi studi prospettici successivi hanno ulteriormente confermato come elevati livelli di Lp(a) (>50 mg/dl) contribuiscano allo sviluppo di aterosclerosi e stenosi aortica, entrambe causa di infarto miocardico e ictus, rendendola così una delle variabili da monitorare, soprattutto nella prevenzione secondaria delle malattie Cv. Se ne è parlato oggi, a pochi giorni dalla Giornata mondiale della Lp(a) in programma il 24 marzo, in un evento organizzato da Novartis.
La lipoproteina(a) è una particella sferica biosintetizzata nel fegato costituita da una lipoproteina Ldl a cui si aggiunge la apolipoproteina(a), o Apo(a), mediante formazione di un ponte disolfuro tra apolipoproteina B100 e Apo(a). E' determinata geneticamente, codificata dal gene Lpa situato sul cromosoma 6q26-27, e i suoi livelli, che restano pressoché stabili nel corso della vita, non sono modificabili con cambiamenti dello stile di vita come dieta ed esercizio fisico. Da un punto di vista epidemiologico, le donne over 50 presentano maggiori concentrazioni di Lp(a), pari a circa il 17% in più rispetto agli uomini, un aumento che coincide generalmente con la menopausa. A coloro che hanno testato la Lp(a) prima della menopausa andrebbe quindi consigliato di ripetere il dosaggio dopo la menopausa, o comunque entro 5 anni dal compimento dei 50 anni.
Uno studio prospettico del 2022 ha inoltre evidenziato che i soggetti geneticamente predisposti presentano livelli elevati di Lp(a) sin dalla nascita. Sebbene nei primi anni di vita i livelli di lipoproteina(a) siano generalmente bassi, il sangue del cordone ombelicale può essere un valido indicatore dei livelli di Lp(a) del sangue venoso neonatale che, se ≥ 90° percentile, possono aiutare l'identificazione dei neonati a rischio di sviluppare livelli elevati di Lp(a) in futuro. Valori superiori a 30 mg/dL sono stati associati a un aumento del rischio di ictus ischemico primario e ricorrente nei bambini e negli adolescenti.
"Il rischio cardiovascolare legato alla lipoproteina (a) sta diventando sempre più un tema di attenzione, soprattutto nei pazienti con precedenti eventi acuti o altre patologie cardiache - spiega Claudio Bilato, direttore della Cardiologia degli ospedali dell'Ovest Vicentino e professore a contratto presso la scuola di specializzazione in Malattie dell'apparato cardiovascolare dell'università di Padova - Studi recenti mostrano che livelli elevati di Lp(a) possono aumentare del 20% il rischio di infarti o ictus, indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali. Questo rende evidente che non considerare la Lp(a) nella valutazione complessiva del rischio cardiovascolare ne determina una sottostima. Al contrario, quindi, il suo dosaggio andrebbe incluso per una corretta ridefinizione del livello di rischio".
La Lp(a) è un fattore di rischio indipendente, poiché non legato ad alcuno dei tradizionali fattori di rischio Cv come dislipidemia, obesità e fumo, ed è un parametro importate nel definire o riclassificare il rischio Cv complessivo del paziente: elevati livelli di Lp(a) conferiscono un rischio più elevato ai soggetti con ipercolesterolemia, pur non influenzando i livelli di Ldl-C. Il dosaggio della Lp(a) andrebbe effettuato in pazienti a medio-alto rischio Cv per una migliore riclassificazione del rischio, in pazienti con eventi acuti recenti, prematuri o ricorrenti (anche in caso di controllo ottimale dei fattori di rischio convenzionali) e in pazienti con una storia familiare di eventi Cv prematuri, in pazienti con dislipidemie genetiche o in soggetti con significativa familiarità per malattia cardiovascolare. In particolare, per i pazienti con eventi acuti recenti, l'ospedalizzazione rappresenta un'opportunità indicata per valutare il rischio CV mediato dalla Lp(a) poiché i suoi livelli si abbassano immediatamente dopo l’evento, ma possono triplicarsi nelle settimane successive.
"La Lp(a) è un fattore di rischio che predice e peggiora il rischio cardiovascolare. Questo suggerisce come lo screening rappresenti un'opportunità concreta per prevenire eventi acuti evitabili - afferma Mario Crisci, dirigente medico Uoc Cardiologia interventistica, Aorn dei Colli - ospedale Monaldi, Napoli - La misurazione della Lp(a), dovrebbe essere presa in considerazione almeno una volta nella vita di ogni adulto per identificare coloro con livelli ereditari molto elevati. Il suo dosaggio andrebbe inserito nel normale percorso di ospedalizzazione a seguito di sindrome coronarica acuta o ictus e ripetuto a distanza di 1-3 settimane dall'evento acuto".
Oggi la sfida nella gestione dei pazienti con elevati livelli di Lp(a) è gravata dal fatto che non esistono farmaci approvati specificamente per ridurne i livelli, pertanto i medici si concentrano su strategie indirette, come il controllo di altri fattori di rischio Cv, tra cui il colesterolo Ldl, l'ipertensione, il diabete e l'infiammazione. Nei casi più gravi si ricorre all'aferesi delle lipoproteine, una procedura invasiva simile alla dialisi che rimuove fisicamente la Lp(a) dal sangue. Tuttavia, negli ultimi anni la ricerca ha compiuto progressi significativi, con lo sviluppo di nuove terapie attualmente in fase di sperimentazione clinica. Tra queste pelacarsen, un oligonucleotide antisenso attualmente in fase 3 di sperimentazione clinica, sta dando risultati promettenti.
"In Novartis sappiamo che le malattie cardiovascolari restano ancora oggi un'emergenza sanitaria globale - dichiara Paola Coco Country, Chief Scientific Officer and Medical Affairs Head Novartis Italia - Il nostro impegno è quello di individuare soluzioni terapeutiche in grado di rispondere a questa sfida e renderle disponibili ad un numero sempre maggiore di pazienti. E' il nostro modo di reimmaginare il futuro delle patologie cardiovascolari per garantire una migliore qualità di vita e sopravvivenza sul lungo periodo affinché nessun cuore smetta di battere troppo presto".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - La procura di Roma ha chiesto il processo per quattro medici in relazione alla morte di Andrea Purgatori, avvenuta nel luglio 2023. L’accusa contestata è di omicidio colposo. I pm di piazzale Clodio avevano chiuso le indagini lo scorso dicembre nei confronti del radiologo Gianfranco Gualdi, l’assistente Claudio Di Biasi e la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo, e il cardiologo Guido Laudani. Ora la richiesta di rinvio a giudizio e l’udienza preliminare che prenderà il via il prossimo 19 settembre.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "La linea del Pd è molto chiara: Si alla difesa comune e No al riarmo degli Stati. E a questo punto ci domandiamo: come fa il Governo ad avere una linea dove Tajani sostiene la linea del Si all'Europa, Salvini vuole uccidere l'Europa e la presidente Meloni fischietta". Lo ha detto ai Tg Stefano Graziano, capogruppo Pd in commissione Difesa di Montecitorio.
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - "Le tecniche di Pma sono diverse e danno risultati diversi", per questo è importante "garantire l'accesso alle tecnologie più efficaci". Lo ha detto all'Adnkronos Salute Antonio Pellicer, professore ordinario di Ostetricia e Ginecologia all'università di Valencia, fondatore di Ivi, Istituto valenciano di infertilità, specializzato nella procreazione medicalmente assistita, commentando i dati della Relazione 2024 sullo stato di attuazione della legge 40/2004 in materia di Pma trasmesso del ministero della Salute al Parlamento. "Nel 2022 - sottolinea - in Italia si sono fatti intorno a 87mila trattamenti" di procreazione medicalmente assistita, "un lieve incremento rispetto al 2021. Le donne che ricorrono alla Pma hanno un'età media intorno a 37 anni: un'età troppo elevata per avere figli e che ritengo sia una conseguenza dei cambiamenti sociali. Rispetto a una volta, infatti, le coppie decidono di avere figli più tardi", a un'età più avanzata. (Video)
Tornando alle tecniche di Pma, "se si utilizza il materiale biologico, i gameti della coppia, la classica Fivet, cioè la fecondazione in vitro - spiega Pellicer - con 3 embrioni sani a disposizione, siamo in grado di garantire il 93% di successo. Se invece utilizziamo ovuli donati, quindi si ricorre all'eterologa con ovodonazione, avendo 5 embrioni, il successo è ancora più alto: si può arrivare anche al 98%, perché gli ovuli sono più giovani".
In Italia ci sono dati che mostrano chiaramente che la Pma è ancora poco utilizza. "Spagna e Danimarca - illustra il professore - hanno un tasso di utilizzo intorno al 10-12%: su 100 bambini che nascono, 10-12 sono da Pma. In Italia sono solo il 4,2%". Inoltre, secondo il report ministeriale, un consistente numero di centri Pma di secondo e terzo livello presenti sul territorio nazionale svolge un numero ridotto di procedure nell'arco dell'anno. Solo il 32,5% ha eseguito più di 500 cicli contro una media europea del 50,1%. Si deve inoltre considerare che più della metà delle tecniche di secondo e terzo livello è effettuato in centri privati, con grandi differenze regionali. "Per colmare questo gap - suggerisce Pellicer - ovviamente è importante l'informazione, l'educazione, ma anche l'aiuto economico alle coppie per garantire che accedano al trattamento più moderno ed efficace nei centri pubblici o privati convenzionati". Su questo aspetto "è stato un grande risultato il riconoscimento dell'infertilità come una malattia e, come tale, il suo inserimento nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, cosa che facilita l'accesso al trattamento della Pma. Ma attenzione: questo aiuto deve essere adeguato - avverte - perché questa è una tecnologia che 'impara' continuamente", evolve in fretta "e bisogna applicare le tecniche più moderne per avere tassi di successo più elevati".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Noi siamo gli unici ad entrare nel merito delle questioni. A dire sì alla difesa comune e come dobbiamo costruire quella difesa comune. E a dire no al riarmo dei singoli 27", a dire "quali sono le critiche puntuali e come chiediamo di cambiare le proposte che non vanno nella direzione della costruzione di una vera difesa comune". Lo ha detto Elly Schlein all'assemblea congiunta dei gruppi Pd.
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - "La prevalenza del diabete in Italia è attualmente attorno al 7%, che corrisponde a circa 4 milioni e mezzo di persone con diabete. Sappiamo, però, che per ogni 2 persone con diabete ce n'è almeno una terza che ha il diabete, ma non sa di averlo: quindi abbiamo circa 1 milione di individui con diabete non diagnosticato. Il 90% dei casi è costituito da diabete di tipo 2, 5-6% circa da diabete di tipo 1, 1-2% da diabete gestazionale e poi ci sono altri tipi meno frequenti di diabete come il diabete da difetti genetici o forme di diabete secondario. Non solo, si stima che poco più di 1 paziente su 2 sia aderente alla cura suggerita". Lo ha detto Riccardo Candido, presidente Amd - Associazione medici diabetologi, intervenendo oggi a Roma alla conferenza stampa 'Diabete di tipo 2: investire in salute, tra accesso all'innovazione ed efficienza del Ssn, è la sfida per il futuro', promossa da Lilly.
"Nel mondo le persone con diabete sono più di mezzo miliardo, numero destinato a crescere fino ad un miliardo e 300 milioni da qui ai prossimi 25 anni - avverte lo specialista - Anche in Italia le stime prevedono un aumento al 9-10% della prevalenza nel 2040. Il diabete è una pandemia per i numeri e per l'impatto che ha sulla salute, sulla qualità di vita e sui costi del Servizio sanitario nazionale: basti dire che circa l'8% dei costi sanitari globali sono legati al diabete". In particolare, "la spesa più elevata riguarda le ospedalizzazioni per le complicanze, i farmaci utilizzati per il trattamento delle comorbilità correlate al diabete e le prestazioni ambulatoriali. Di conseguenza - sottolinea l'esperto - oggi è urgente per gli Stati intervenire con provvedimenti sanitari e politico-istituzionali in grado di incidere sia sulla prevenzione delle complicanze, ma anche sulla corretta gestione della malattia diabetica e sulla cura".
Attualmente molte persone con diabete non raggiungono i risultati di controllo prefissati. "I dati degli Annali di Amd rilevano che solo il 56% delle persone con diabete di tipo 2 raggiunge un valore di emoglobina glicata sotto il 7%, che è il primo grande obiettivo target nel controllo glicemico. I motivi? Diagnosi tardiva e inizio del trattamento non tempestivo; inerzia terapeutica da parte dei professionisti che non intervengono in maniera precoce e incisiva nelle modifiche delle terapie qualora il diabete non sia sufficientemente controllato; difficoltà da parte dei pazienti a mantenere adeguati stili di vita in termini alimentazione e attività fisica; utilizzo di terapie fino a qualche tempo fa non del tutto efficaci e gravate dal rischio di ipoglicemia, per cui lo specialista non poteva spingere troppo il dosaggio", elenca Candido. E "ovviamente la ridotta aderenza dei pazienti alle terapie che vanno seguite per tutta la vita: si stima che poco più di 1 paziente su 2 sia aderente alla cura suggerita. L'ultimo aspetto è la difficoltà, a livello regionale, di disporre e di mettere a disposizione in tempi rapidi le innovazioni terapeutiche che oggi sono le più efficaci, come tirzepatide, non gravato dal rischio ipoglicemico, che agisce sul controllo glicemico e sulla riduzione del peso corporeo, efficace anche sul controllo della pressione e del colesterolo, agendo quindi anche sulla prevenzione del danno cardiovascolare e renale. Problematico - conclude Candido - resta nel nostro Paese il tema della disequità di accesso alle nuove opportunità terapeutiche e tecnologiche".
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - "L'orientamento attuale nella cura e assistenza del paziente con diabete è la gestione integrata, in cui è strategico il lavoro in team multidisciplinare, costituito da endocrinologi e diabetologi, ma anche da molte altre figure professionali quali il medico di medicina generale, figura professionale fondamentale perché conosce meglio il paziente e la realtà famigliare e sociale in cui vive e lavora. Il diabetologo e l'endocrinologo sono le due figure di riferimento cui fanno da corollario indispensabile il dietista, il nefrologo, il cardiologo, l'oculista, il neurologo, il chirurgo vascolare, l'ortopedico, lo psicologo fino all’infermiere dedicato". Lo ha detto Andrea Frasoldati, presidente Ame - Associazione medici endocrinologi e direttore Struttura complessa di Endocrinologia dell'Arcispedale Santa Maria Nuova Irccs, Asl di Reggio Emilia, nel suo intervento oggi a Roma alla conferenza stampa 'Diabete di tipo 2: investire in salute, tra accesso all'innovazione ed efficienza del Ssn, è la sfida per il futuro', promossa da Lilly.
"La presenza di questi specialisti - sottolinea Frasoldati - è decisiva nell'assicurare al paziente e alla malattia un management adeguato con le migliori terapie, una diagnosi precoce e un trattamento ottimale, in grado di prevenire o rallentare la progressione delle complicanze". Ma "una gestione integrata prevede un sistema organizzato per rispondere ai bisogni dei pazienti e la mancanza di uno scambio tra le diverse figure specialistiche può rendere difficile al paziente l'accesso e l'aderenza alle cure".
Il diabete, ricorda lo specialista, "è una malattia cronica che comporta un rischio aumentato di diverse complicanze di carattere vascolare che coinvolgono diversi organi. In tal caso il paziente necessita dell'intervento di tanti specialisti". Sul fronte terapie, "grazie ai benefici di una nuova classe di farmaci si può intervenire sul peso, un aspetto molto importante - rimarca - perché il paziente è contento e più attivo. Anche in termini di aderenza al trattamento è coinvolto in modo positivo e meno rinunciatario".