Secondo i giudici esiste una “struttura ombra costituita da soggetti denominati ‘fiduciari’ non inquadrati nell’organizo di Ilva spa, ma riconducibili direttamente alla proprietà e alla famiglia Riva". Restano quindi bloccati 8,1 miliardi. Intanto la procura di Milano ha chiesto rinvio a giudizio per frode fiscale per Emilio Riva
Esiste un “governo aziendale occulto” che opera nello stabilimento Ilva di Taranto, una “struttura ombra costituita da soggetti denominati ‘fiduciari’ non inquadrati nell’organizo di Ilva spa, ma riconducibili direttamente alla proprietà e alla famiglia Riva”. Lo scrive il tribunale del Riesame nelle motivazioni con le quali conferma il maxi sequestro per equivalente da 8,1 miliardi di euro ai danni della società Riva Fire che controlla Ilva spa.
Nelle quarantuno pagine del provvedimento il collegio di magistrati rivela la presenza di alcuni soggetti “funzionalmente dipendenti di altre societa del Gruppo Riva”, ma “ufficialmente distaccati all’internodello stabilimento” e altri che invece pur non essendo “ufficialmente impiegati presso Ilva spa” ricoprono incarico di vertice come Lanfranco Legnani che “oltre ad essere componente dell’organismo di vigilanza di Ilva, ricopriva anche l’incarico di ‘direttore ombra’ dello stabilimento”. Altri ancora, aggunge il tribunale “operavano od operano all’interno dello stabilimento come consulenti esterni”. Figure, che secondo due informative della Guardia di finanza di Taranto, “di fatto governavano il siderurgico, impartendo le necessarie disposizioni, occupando alloggi nella provincia di Taranto che risultavano formalmente ‘uffici in attività’ della Riva Fire spa”. Una struttura ombra, quindi, che secondo la procura ionica è “lo strumento di controllo della proprietà sulla vita dello stabilimento” con il compito “effettivo”, quindi, di “verificare l’operato dei dipendenti assicurandosi che fossero rispettate le logiche aziendali”. Ed è quindi attraverso i fiduciari che la Riva Fire – e di conseguenza i membri della famiglia proprietaria della fabbrica – controllava la fabbrica. Attraverso queste figure che “hanno esercitato un penetrante dominio su Ilva spa” e hanno dettato “dall’esterno le linee della politica aziendale” la famiglia Riva continuava – al di là di dimissioni formali e cessazioni di incarichi ufficiali – a mantenere saldamente le mani sullo stabilimento di Taranto.
Un nuovo filone di indagine che, quindi, si apre nella vicenda che vede indagati per disastro ambientale e avvelenamento di sostanze alimentari la proprietà e i vertici dello stabilimento. Ma i soggetti iscritti nel registro degli indagati, prima della chiusura dell’attività investigativa, potrebbero aumentare ancora: i fiduciari, infatti, “hanno in tale veste – scrivono i giudici del riesame – concorso con i successivi amministratori nella commissione dei reati”. Non solo. La loro esistenza e la loro azione conferma la legittimità del maxisequestro disposto dal gip Patrizia Todisco perché avvalorano le responsabilità della società Riva Fire che attraverso “i propri amministratori e per il tramite dei fiduciari”, ha attivamente partecipato alla fase delle scelte decisionali concementi Ia gestione dello stabilimento di Taranto e quindi “la consumazione degli illeciti, perseguendo quindi un proprio interesse”.
Ma il martedì nero della famiglia Riva non ha come epicentro solo il palazzo di giusitizia del capoluogo ionico. La procura di Milano, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio per Emilio Riva e altre tre persone nell’ambito di un’ inchiesta per frode fiscale dell’Ilva per 52 milioni. L’87enne ex patron dell’Ilva, agli arresti domiciliari dal 26 luglio scorso, è indagato in qualità di rappresentante legale e firmatario della dichiarazione fiscale della società Riva Fire spa, nonché di rappresentante legale e firmatario della dichiarazione fiscale della società consolidata Ilva spa.