Diritti

Storia di una bambina privata degli affetti

Può accadere che siano le donne ad usare violenza su altre donne, più piccole e indifese. A Elena, che ora ha 10 anni, non le hanno permesso di trovare la serenità.

Nata in una famiglia di meridionali trapiantati al nord da una vita, ma che mantengono ben saldi i legami con la terra di provenienza. Elena è infatti orgogliosa dei suoi nonni siciliani. E’ la più piccola di tre sorelle di una famiglia che viveva con difficoltà e superficialità, più telefonini che pane in tavola. I comportamenti spesso sono al limite e l’educazione scarseggia.

Lei imita le sorelle, avvezze a un uso un po’ spregiudicato della vita e della sessualità. Ma su di lei nessun abuso, imitava solo gesti sfrontati, forse appresi anche in tv. Come l’asciugamano che si strofinava addosso mimando atteggiamenti erotici o le battute sulle tette. Fuori registro, soprattutto per una ragazzina che allora aveva appena iniziato la prima elementare. Le sorelle, più grandicelle di lei, già portano i “morosi” a dormire a casa, lì dove c’è anche lei. Ma non è questo il motivo del distacco dalla famiglia d’origine. Per i genitori tre bocche da sfamare sono troppe e si rivolgono agli assistenti sociali, a cui viene affidata Elena. I genitori fanno capire che quella ragazzina non la vogliono più e non desiderano che torni a vivere con loro, benché Elena ci spera sempre e lo dica in ogni momento. Quasi arpionasse il passato per rimanere a galla in un mare di insicurezze.

Ma qui cominciano i pasticci degli assistenti sociali, una serie quasi incredibile di errori. Dapprima affidano la ragazzina a una famiglia, dove rimane per molto tempo, ma pare che il contrasto con il figlio più piccolo della coppia sia motivo di litigi. Elena vuole spesso essere al centro della scena, sentirsi importante, accettata e per attirare l’attenzione continua a parlare e a volere gli occhi degli altri solo per lei. Di punto in bianco, la bambina viene tolta da questa famiglia, che rimane interdetta, non riescono a capire i motivi, chiedono inutilmente spiegazioni. La casa di questi genitori è come fosse stata un deposito umano, dove la “merce” viene sistemata per periodo e poi prelevata, a piacimento. Fino allora non c’era la benché minima avvisaglia di quello stava per accadere, non c’era stato nessun colloquio con le assistenti sociali. Comunque le proteste della famiglia sono inutili e non meritano una spiegazione.

Ma le assistenti sociali, appoggiate da psicologi di un centro per l’infanzia, decidono di trasferire la ragazzina in una altra famiglia, a una donna di quasi 50 anni, single. Una donna che è stata giudicata idonea nei casi di affidamento da una commissione di psicologi dopo due anni di sedute comuni con altre persone, tutte in attesa dell’arrivo di un affido. Ma non bastano due anni di “cure” psicologiche per capire chi si cela dietro un viso. La motivazione degli assistenti sociali è apparentemente motivata. Nella prima famiglia affidataria c’erano altri ragazzini e quindi i genitori si dovevano occupare di più persone, mentre in questo caso la donna si dovrebbe dedicare esclusivamente a Elena.

Arriva nella nuova casa a fine estate, e subito affigge alla porta anche il suo nome, quasi per dire: questa è anche la mia casa, voglio fermarmi qui. In pochi anni ha cambiato tre case, tre famiglie, tre dinamiche personali diverse. La sua fragilità è evidente, la sua insicurezza si palese nel bisogno di continue attenzioni. La ragazzina sente che la donna è tutta per lei e accentua i comportamenti eccentrici, forse cerca l’affetto che non ha avuto dalla famiglia d’origine e che non ha mai sentito pienamente.

La scelta delle assistenti sociali è, però, sbagliata e lo si capisce subito. La donna affidataria è single e più volte ripete “che non le è mancato un marito ma un figlio”. Un desiderio represso fino a quel giorno, lacerante per una donna che desidera un figlio suo più di ogni altra cosa. E questo doveva essere il modo per essere madre, seppur surrogata, di una gravidanza mai avuta. E versa su Elena tutte le aspettative, le speranze di trascorrere per sempre la sua vita insieme alla ragazzina, che ora ha otto anni. La donna, Giorgia, dice che avrebbe voluto una bambina più piccola, ma oramai deve adattarsi.

Ma non funziona. Dopo pochi mesi il rapporto fra le due è ormai incrinato, la donna non accetta più che Elena viva con lei sotto lo stesso tetto, non la sopporta. Lei voleva fare la madre, non essere una semplice affidataria di un caso umano: non era questo il suo scopo. I caratteri sono molto diversi e Giorgia non ha mai inteso prendere con sé Elena solo per aiutarla. E la rifiuta, dopo soli otto mesi da quando è entrata in quella casa, Elena se ne va, ripresa in carico dalle assistenti sociali. Non l’aspetta una nuova famiglia ed è grandicella per stare insieme a bambini più piccoli in un centro per l’infanzia. Finisce in una specie di clinica per il recupero psicologico. Matta, Elena non lo è di certo. Ma è quello che vuol far credere Giorgia alle assistenti sociali, che comunque non la aiutano a superare le difficoltà. Sono le stesse assistenti sociali che si accorgono ora che Giorgia è incapace di essere una donna affidataria.

Elena viene spedita lontano dalla famiglia, lontano da tutti quelli con cui ha avuto contatti. Sono sempre le assistenti sociali che decidono di recidere ogni contatto di Elena con il suo passato. In attesa di un nuovo affido o adozione.

E, speriamo, di persone che la possono amare per quello che è.