Il primo cittadino etneo in quota Pd ha presentato la sua squadra, al cui interno hanno trovato posto ex assessori di amministrazioni di centrodestra, tutti legati a doppio filo con l'ex governatore regionale
Li ha definiti “nomi di altissimo profilo” che rilanceranno la primavera a Catania. Ma a guardare la nuova giunta di Enzo Bianco, però, il pensiero più che alla primavera corre veloce a Tomasi di Lampedusa e al suo Gattopardo. La squadra messa in campo dall’ex ministro dell’Interno per rilanciare la città etnea include infatti nomi che furono già protagonisti nelle passate amministrazioni di centrodestra. Sono infatti ben quattro gli assessori della nuova giunta di centrosinistra che portano indelebile nel curriculum politico la firma di Raffaele Lombardo, l’ex governatore regionale oggi imputato per mafia a Catania.
Nonostante le alterne fortune, però, il leader del Movimento per l’Autonomia continua a sopravvivere nei corridoi della politica siciliana. E nella giunta del quattro volte sindaco di Catania trovano posto alcuni suoi ex pupilli. Come Marco Consoli, per esempio. Trentacinquenne di belle speranze, una laurea in giurisprudenza, inizia la sua carriera politica già al liceo, nei ranghi giovanili della Democrazia Cristiana. Poi l’approdo in consiglio comunale sotto le bandiere del Movimento per l’Autonomia. Nel mondo autonomista il giovane e rampante Consoli non è un nome di secondo piano: considerato il pupillo di Lombardo, nel 2008 viene eletto presidente del consiglio comunale catanese, rappresentando la maggioranza di centro destra che sosteneva l’allora sindaco Raffaele Stancanelli, sconfitto al primo turno proprio da Bianco. A febbraio, però, quando l’era pidiellina sotto l’Etna sembrava ormai al capolinea, ecco che il giovane Consoli decide di rompere con Lombardo. La motivazione ufficiale dell’addio? “Non possiamo appoggiare le scelte di un partito che ha ignorato i giovani nella compilazione delle liste per la Camera” spiegava il giovane consigliere, che appena tre mesi dopo si ritrova promosso assessore, seppur in una giunta di segno opposto a quelle appoggiate in precedenza.
Nella squadra di Bianco trova posto anche un altro fedelissimo di Raffaele Lombardo: si chiama Salvo Di Salvo è del Movimento per l’Autonomia è stato addirittura capogruppo a Palazzo degli Elefanti (sede del consiglio comunale etneo) per quasi cinque anni. Il suo mentore è Lino Leanza, politico navigato con un fiuto particolare per i vincenti. Democristiano purosangue, Leanza è sempre riuscito ad essere incluso in tutte le coalizioni di maggioranza che hanno governato l’isola, di qualsiasi colore politico: vice presidente della Regione nei fulgidi anni in cui Totò Cuffaro era governatore, assessore regionale quando a Palazzo d’Orleans arrivò Lombardo, capogruppo dell’Udc in sostegno di Rosario Crocetta.
Alla vigilia delle ultime amministrative l’ennesimo cambio di casacca: per contare di più sia a Palermo che a Catania ecco che Leanza ha deciso di fabbricarsi un movimento su misura, Articolo 4. Mossa azzeccatissima dato che oltre a Di Salvo, l’ex vice di Cuffaro (che oggi si è reinventato come main sponsor di Crocetta) è riuscito a piazzare in giunta anche un altro assessore, seppur tecnico: è l’avvocato Angela Mazzola, scelta da Bianco già in campagna elettorale. Faceva già parte della squadra del sindaco etneo anche un altro volto rosa, Valentina Scialfa, medico dell’ospedale Cannizzaro, che i rumors considerano vicina a Giovanni Pistorio, inseparabile braccio destro di Lombardo, senatore e luogotenente del Movimento per l’Autonomia, che ha recentemente traslocato voti e influenze nei ranghi dell’Udc. Pistorio, insieme ad altri sedici politici, è stato recentemente condannato dalla Corte dei Conti a risarcire la Regione Siciliana con 12 milioni (circa 700 mila euro a testa) per le assunzioni illegittime al servizio d’emergenza del 118. Era il 2005 e il deus ex machina della politica siciliana si chiamava Salvatore Cuffaro, oggi detenuto nel carcere di Rebibbia dove sta scontando una condanna a sette anni per favoreggiamento a Cosa Nostra. Tempi che furono, direbbe qualcuno. Ma nell’isola in cui per troppe volte si è cambiato tutto perché nulla cambiasse davvero, è lecito dubitarne.
@pipitone87