Il presidente è agli arresti, viva i generali? Mohammed Morsi perde la legittimità del potere presidenziale per decreto militare, nell’anniversario della sua elezione democratica. Il leader dei Fratelli musulmani è sotto custodia, mentre nelle strade sono posizionati i carri armati e una moltitudine festante inneggia alle Forze armate che hanno ristabilito il diritto del popolo. E una minoranza nutrita e bellicosa – i seguaci del movimento islamico moderato – promettevano il martirio contro il golpe dei generali, che hanno vinto il braccio di ferro con il presidente in nome della piazza.
La democrazia non finisce con il voto, ma certo è una dura legge imposta con la minaccia non troppo velata del fucile, quella che fa decadere Morsi da faraone del nuovo Egitto nato dalla primavera araba inscenata per mesi in piazza Tahrir. Con il sapiente uso degli umori delle piazze, gli uomini in divisa inscenano uno show mediatico e una prova di forza, conclusa con il giuramento del presidente della Corte costituzionale Mansur come nuovo presidente ad interim.
I faraoni in armi egiziani si sono mostrati al contempo paladini della volontà laica popolare e conservatori del potere economico, più e meglio di come sono stati in grado di fare i commilitoni turchi. A meno che il vociare minaccioso delle milizie dei Fratelli musulmani non si trasformi in aperta belligeranza, precipitando il gigante mediorientale in un conflitto sociale che potrebbe portare le Forze armate a non ritirare i carri armati dalle strade per molte settimane.