L'inchiesta sulle comparsate in televisione pagate con i soldi pubblici dai partiti entra nel vivo. Andrea Defranceschi del Movimento 5 Stelle e Silvia Noè dell'Unione di Centro hanno ricevuto un invito a dedurre da parte della procura contabile regionale. Non si esclude che gli stessi avvisi siano arrivati agli altri capigruppo
L’indagine della Corte dei conti dell’Emilia Romagna sulle interviste a pagamento realizzate con i soldi pubblici entra nel vivo. In mattinata i capigruppo in consiglio regionale del Movimento 5 stelle, Andrea Defranceschi e dell’Udc, Silvia Noè, hanno infatti ricevuto un invito a dedurre da parte della procura contabile regionale. Si tratta di un passaggio tecnico decisivo, equivalente a quello che è l’avviso di fine indagine in un procedimento penale: una convocazione da parte del procuratore che già ha indagato sulle presunte spese irregolari affinché gli interessati, entro 30 giorni, producano memorie e deduzioni in loro difesa, o addirittura si facciano sentire dal magistrato contabile. Trascorsi i 30 giorni il magistrato avrà a sua volta 120 giorni per preparare l’eventuale citazione a giudizio e portare a processo, o, come accade molto più raramente, per archiviare.
È probabile che altri avvisi arrivino o siano già arrivati ad altri capigruppo (che nella loro veste firmavano anche per le interviste dei loro colleghi di partito). La vicenda, a parte l’Italia dei Valori, aveva interessato tutti i gruppi: Pd, Pdl, Lega nord, Sel. Alcuni mesi fa il procuratore Salvatore Pilato aveva delineato le cifre contestate in totale ai gruppi, che si aggirerebbero in totale tra i 100 e i 200 mila euro. Gli unici a rispondere al Fatto quotidiano e a confermare sono stati Defranceschi e Noè. “Si tratta delle contestazioni sulle interviste televisive. Tra l’altro – ragiona il consigliere M5s– mi hanno messo tra le contestazioni anche gli spot radiofonici per invitare i cittadini a venire alla nostra relazione semestrale”. Conferma anche Silvia Noè, cognata di Pierferdinando Casini: “Si tratta di una richiesta di deduzioni sul tema delle interviste a pagamento. Sto facendo tutte le valutazioni poi esprimerò le mie deduzioni”, spiega.
La vicenda era esplosa nell’agosto del 2012, quando erano venute a galla le fatture del gruppo consiliare del Movimento 5 stelle nei confronti dell’emittente 7 Gold. L’ex pupillo di Beppe Grillo, Giovanni Favia, aveva ammesso di avere pagato per apparire sulle emittenti locali : “L’informazione non è libera, continuerò a pagare per andare in tv”, aveva detto Favia, che era stato pubblicamente rimproverato dal blogger genovese. Dopo di lui, però, la lista dei consiglieri regionali accusati di aver acquistato spazi televisivi su emittenti locali per partecipare ed essere intervistati nelle trasmissioni di informazione politica, spendendo (sono cifre della Procura) tra i 100 e i 200 mila euro in soldi pubblici, si era sensibilmente allungata. Tanto che nel mirino della Procura della Repubblica e dei magistrati contabili della Corte dei conti erano finiti quasi tutti i partiti.
Sul fronte penale, il sostituto procuratore Antonella Scandellari, che a inizio settembre aveva aperto un fascicolo per peculato, aveva mandato anche la Guardia di Finanza in Regione per acquisire i contratti firmati con radio e tv locali. E subito dopo, i magistrati avevano sentito tutti i capigruppo di viale Aldo Moro. I quali, chi più, chi meno, avevano giustificato una voce di spesa che, secondo molti, era prevista da una legge regionale. Il lavoro dei pm sulle comparsate in tv fa parte di una maxi inchiesta che comprende tutto il grande tema dei fondi regionali, affidata oltre che alla Scandellari, alla pm Morena Plazzi. Il loro lavoro è seguito direttamente dal procuratore capo Roberto Alfonso e dall’aggiunto Valter Giovannini.
La Lega Nord, tramite il consigliere regionale Manes Bernardini, per esempio, aveva ammesso di avere contratti “sia con 7 Gold che con Ètv. Di solito vado io perché sono di Bologna”, aveva sottolineato l’ex candidato a sindaco del capoluogo emiliano. E anche per Sel le comparsate a pagamento erano “un modo per assicurare, soprattutto ai piccoli gruppi politici, una certa visibilità sulle televisioni locali”. Visibilità a un costo medio di 3 mila euro per intervista, variabile a seconda dell’emittente.
La vicenda, poi, era costata cara anche alle trasmissioni che avevano accettato il denaro pubblico per invitare i politici: tre sospensioni e due censure è la sanzione che l’Ordine dei giornalisti regionale, a conclusione dell’iter disciplinare avviato dopo l’emersione del caso, aveva stabilito per l’ex conduttore Dario Pattacini, per il cronista ed editore della emittente 7 Gold Luigi Ferretti e per Giovanni Mazzoni, direttore responsabile di Ètv.
di Annalisa Dall’Oca e David Marceddu