Un’evasione dell’Iva da otto milioni di euro, materiali di costruzione di scarsa qualità e modifiche attuate arbitrariamente dalle ditte private rispetto al progetto originario. Sul nuovo porto di Marina di Ragusa, frazione marittima del capoluogo ibleo siciliano, ultimato nel giugno del 2009, si addensano nuove nubi a seguito dell’indagine della Guardia di finanza su ordine della Procura della Repubblica di Ragusa che, partita per verificare la corretta applicazione dell’aliquota Iva sugli acquisti delle imprese, ha fatto emergere altre irregolarità. Non solo le ditte aggiudicatrici dell’appalto – le catanesi Tecnis (degli imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco), Sigenco e Silmar riunite nella Porto turistico Marina di Ragusa spa – avrebbero applicato un’aliquota inferiore su determinati acquisti, da cui deriva la maxi evasione da otto milioni, ma sarebbero venute meno ad alcune clausole del capitolato firmato con il Comune di Ragusa, a cui la Regione Sicilia ha affidato l’infrastruttura per 60 anni. Gestione che, a sua volta, l’ente comunale ha passato alla società che ha realizzato il porto.
Ma non è questa la prima volta in cui le tre ditte compaiono nelle cronache. Anche giudiziarie. Si tratta delle stesse imprese che negli ultimi anni sono state vincitrici, spesso riunite nel consorzio Uniter, di importanti appalti in tutta Italia: dal raccordo anulare di Roma ai cantieri navali di Genova, dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria ai lavori di ammodernamento dell’aeroporto di Catania e a diverse altre opere pubbliche etnee. Santo Campione, amministratore delegato di Sigenco, è imputato per disastro colposo, truffa e concorso in frode nelle pubbliche forniture, nell’inchiesta della Procura di Catania sulla realizzazione delle nuove linee della metropolitana. Cantieri che nel frattempo sono fermi da mesi, dopo che la stessa Sigenco è stata costretta a chiedere il concordato preventivo a causa di difficoltà economiche. Mentre Mimmo Costanzo, titolare della Tecnis e rappresentante di Uniter, è stato rinviato a giudizio e poi assolto dall’accusa di abuso d’ufficio in concorso nel processo per la costruzione di nove parcheggi interrati a Catania. Due dei quali affidati al consorzio e dove resta posata solo la prima pietra. Ora i nuovi guai per gli imprenditori potrebbero arrivare da Ragusa.
Sul nuovo porto della città iblea, un affare da 70 milioni di euro, da tempo il circolo locale di Legambiente denunciava inadempienze nei lavori. “Tutte le forze politiche sapevano quello che stava succedendo – spiega il presidente Giovanni Campo – Gli inerti dovevano essere smaltiti in una cava, invece sono stati lasciati in mare e la scogliera è stata in parte distrutta”. Pochi mesi fa anche le attenzioni dei carabinieri si erano concentrate sul nuovo porto. Le indagini avevano fatto emergere un patto tra la mafia catanese e la stidda ragusana per dividersi il business del pizzo. A far venire a galla la storia era stato un imprenditore, titolare della ditta Descamoter, impegnata in subappalto nei cantieri del porto. “Noi dovevamo dare 80mila euro alla Stidda – aveva denunciato ai carabinieri – Mentre la ditta titolare avrebbe pagato una grossa somma a Cosa nostra catanese». A seguito delle sue dichiarazioni, lo scorso aprile, gli investigatori hanno arrestato tre appartenenti alla Stidda ragusana con l’accusa di estorsione aggravata.
Salvo Catalano e Leandro Perrotta