Per cancellare le cattive abitudini ci vogliono anni e molto impegno. Per quelle buone basta poco. Il governo Letta non ha ancora dato cenno di voler pubblicare on line la situazione reddituale e patrimoniale di ministri, dei loro vice e dei sottosegretari. La lodevole prassi introdotta dal governo Monti pare già dimenticata.
 
Il professore della Bocconi ha tanti difetti, ma fin da subito annunciò un’apertura alla trasparenza che, dopo tre mesi, portò alla pubblicazione, sui siti dei ministeri, di redditi e beni dei membri del governo. Alcuni ministri – come Vittorio Grilli – interpretarono in modo riduttivo l’impegno, divulgando una sorta di autocertificazione che poi si è rivelata parziale. In tanti scelsero di indicare il reddito da ministro – già noto – anziché quello di cui disponevano nella vita civile. Altri ancora, come Corrado Passera, sono stati tenuti sotto pressione perché particolarmente esposti a conflitti di interesse e qualcosa hanno fatto (l’ex ministro dello Sviluppo ha dovuto vendere le sue azioni nella banca che aveva guidato, Intesa San Paolo).
 
Poi è arrivato il governo Letta. E nessuno ha mai parlato di seguire l’esempio montiano, magari correggendone le fragilità. La dichiarazione dei redditi del premier è già disponibile (nel 2011 aveva un totale imponibile di 142.696 euro). Ma a parte i membri dell’esecutivo già tenuti a una qualche forma di pubblicità, degli altri non si conosce nulla.
 
Vedere il rendiconto patrimoniale di chi prende decisioni sensibili è un’informazione utile. È bene sapere se chi regola il settore dell’energia ha i suoi risparmi investiti in azioni di quel tipo, o se qualche professionista ha dichiarato redditi enormi che potrebbero implicare rapporti di riconoscenza o condizionamento verso qualche società o ente pubblico. Visto che, a parte la macroscopica eccezione di Silvio Berlusconi, pare si stia affermando un minimo di sensibilità tra i titolari di cariche istituzionali (si sono dimessi negli ultimi anni i sottosegretari Zoppini e Malinconico, c’erano tutte le condizioni perché lo facesse Grilli, ha lasciato Josefa Idem), sarebbe opportuno aumentare, invece che diminuire, la trasparenza. Soprattutto per quanto riguarda i conflitti di interesse. Invece le dichiarazioni patrimoniali spariscono e si discute di modificare perfino la ridicola legge Frattini per consentire a membri del governo Monti di assumere cariche di vertice in Finmeccanica, Cassa depositi e prestiti o Eni.
 
Senza trasparenza dentro il governo diventa più difficile credere alle promesse di Tesoro e Palazzo Chigi di meritocrazia nella scelta dei manager pubblici.

@stefanofeltri

Il Fatto Quotidiano, 4 Luglio 2013

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