Andare in giro per autobus, metro, osservare la gente per strada dà l’idea di ciò che hanno prodotto decenni di cattiva politica in questo paese, ormai irriconoscibile.
Due profili emergono con sempre maggiore chiarezza.
In primo luogo la paura del futuro. C’è ormai una inquietante convinzione che il domani non riserverà nulla di buono, anzi forse sarà peggiore di oggi. E tutto questo genera un forte senso di frustrazione e di depressione pubblica che sta svuotando la nostra società della sua linfa vitale.
Varie sono le cause di tutto questo, ma senza dubbio un ruolo fondamentale l’ha svolto l’aggressione verso i valori del lavoro, della dignità della persona. Se è vero che la democrazia italiana è fondata sul lavoro, è parimenti evidente che lo svilimento del lavoro, come fonte di realizzazione della persona, oltre che di sostentamento personale, sta progressivamente esacerbando gli animi, distruggendo la solidarietà sociale, conducendo all’accettazione acritica della propria condizione sociale, spegnendo ogni aspirazione al miglioramento di se stessi.
Proprio la sfiducia verso il futuro, il crescente egoismo di ciascuno, uniti alla perdita del valore del tempo libero, alla crisi della rappresentanza politica stanno accentuando sempre più la dissoluzione dell’opinione pubblica, della partecipazione politica, della voglia di prendersi cura di quella cosa bellissima che è la cosa pubblica; ciò porta con sé l’inevitabile tendenza a privilegiare i propri interessi personali a scapito di quelli generali.
Già Tocqueville evidenziò bene il pericolo, per la sopravvivenza di uno stato democratico, rappresentato dall’indifferenza dei cittadini verso la cosa pubblica: “Il dispotismo vede nell’isolamento degli uomini la garanzia più certa della propria durata, e in generale mette ogni cura nel tenerli separati…Definisce turbolenti ed inquieti coloro che pretendono di unire i loro sforzi per creare la prosperità comune e…chiama buoni cittadini coloro che si chiudono strettamente in se stessi”.
Insomma la democrazia italiana sta cadendo proprio per la crisi che stanno subendo i suoi pilastri fondamentali: il valore del lavoro (art.1 Cost.), il valore della solidarietà sociale (art. 2 Cost.), il valore dell’eguaglianza (art. 3 Cost.).
Ciononostante ancora emergono sussulti di resistenza nella società. Una società ancora non disposta ad arrendersi. Una società che ancora vuole credere in un futuro diverso.
Il M5S alle ultime elezioni politiche ha avuto il merito di illuminare gli animi, di dare voce a questa società che vuole cambiare.
Sennonché l’innalzamento di barriere politiche verso gli altri partiti politici, forse dettato anche dall’inesperienza dei nuovi parlamentari, ha prodotto il risultato inverso: ha generato una logica di contrapposizione tra i “nuovi” e gli “altri” che ha solo contribuito ad un’ulteriore lacerazione dell’elettorato ed ad un aumento del senso di frustrazione generale.
Il cambiamento può passare solo attraverso la creazione di un polo politico nuovo (che includa il M5S, movimenti civici, aree “eterodosse” dei partiti), che metta insieme il meglio della società civile e al contempo faccia affidamento sull’autorevolezza, sull’esperienza di persone che in questi anni hanno difeso i valori costituzionali.
Le denunce dei parlamentari del Pd sulla scarsa democrazia interna al loro partito, la mera denuncia degli errori politici commessi dai dirigenti nazionali sono ormai francamente stucchevoli. Così come puramente propagandistiche sono le iniziative di “democrazia dal basso” come il recente Tuparlamento: non ci vuole molto ad immaginare che qualsiasi proposta di legge possa scaturire da questa piattaforma incontrerà l’indifferenza o, peggio, il contrasto dei vertici dei partiti, che ormai vivono in un mondo tutto loro, che non è quello dei cittadini.
Questi sono tempi di scelte coraggiose.
I rappresentanti politici che sono stanchi di questa situazione, che ormai si è trascinata fin troppo, girino le spalle alle nomenclature dei loro partiti e realizzino un movimento politico nuovo, che riparta dalle università, dai lavoratori, dalle piccole e medie imprese; che rifondi i luoghi di partecipazione politica nei partiti; che valorizzi l’intraprendenza dei giovani e la saggezza dei meno giovani; che dia fiducia alla società civile, che dia voce alle sue aspirazioni e, nella dialettica con le altre forze politiche, affermi a voce alta i valori costituzionali fuori e dentro il Parlamento.
Un nuovo movimento politico che sappia denunciare l’inganno dell’austerity e voglia riaffermare il modello dello Stato sociale, accolto dalla nostra Costituzione.
Se questa parte della classe politica avrà il coraggio di nuove scelte, gran parte della società la seguirà, perché non aspetta altro.
Altrimenti di proclami inutili e di iniziative propagandistiche non sappiamo più che farcene.
Valerio Medaglia
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