Come accadde nel 1492, quando un tale Cristoforo Colombo scoprì le Indie Occidentali, potremmo tranquillamente scolpire la data in cui l’Islanda apparve come per magia sulle mappe musicali: il giorno in cui venne trasmesso per la prima volta il video di Birthday, il singolo che nel 1987 fece da apripista all’album d’esordio degli Sugarcubes, Life’s Too Good, uscito l’anno successivo. Certo, chi era cresciuto in Inghilterra poteva contare su John Peel ma all’epoca in Italia guardavamo assiduamente soprattutto un canale televisivo pionieristico che si chiamava Videomusic: i lettori più giovani del Fatto Quotidiano potrebbero anche non esserne a conoscenza ma una delle primissime reti televisive musicali d’Europa, interamente dedicata ai video, ai live ed agli approfondimenti, era nata proprio in Italia a metà degli Ottanta sulla scia dell’americana MTV. E fu così che, osservando rapiti quel video assolutamente naif, scoprimmo a volo d’uccello una terra lirica ed onirica – non per nulla lo stile musicale di Birthday era improntato al dream pop imperante in stile 4AD – un’isola che con nostra grande sorpresa non era dominata soltanto dai ghiacci e dalle tenebre ma anche da favolose cascate, ribollenti geyser, vulcani: puro esotismo artico nei sogni di un ragazzino.
Gli Sugarcubes sono noti soprattutto per essere stati la band con cui Bjork – inconfondibili la sua voce ed il suo stile interpretativo – ha spiccato il volo prima di imporsi all’attenzione generale ed assurgere poi a fama mondiale con i celeberrimi album solisti dei Novanta, da Debut a Post, da Homogenic allo splendido Vespertine (2002). L’icona islandese aveva in realtà candidamente “debuttato” addirittura nel ’77 alla tenerissima età di undici anni, proprio mentre a Londra imperversavano Pistols e Clash: ed infatti, appena un po’ più cresciutella, nei primi Ottanta la Gudmundsdottir avrebbe fondato i KUKL, una goth band che incise addirittura un paio di dischi per l’etichetta per eccellenza dell’anarco-punk inglese ovvero la storica Crass Records. Fu da quella band che nacquero gli Sugarcubes.
Islanda non è soltanto sinonimo di Bjork poiché, sulla scia del suo exploit ed anche grazie ad esso, molte altre formazioni negli anni successivi hanno ottenuto fama e riconoscimenti a livello internazionale. E allora, se molti degli scatti in mostra da ONO Arte Contemporanea sono dedicati a lei, la diva che il grande Matthew Barney, l’autore di Cremaster, ha letteralmente “sposato” a bordo di una baleniera nel suo superbo Drawing Restraint 9, in realtà le fotografie in esposizione puntano la loro attenzione su tutta una vasta schiera di band che hanno imposto questo paese come uno tra quelli a più alto tasso musicale di tutto il pianeta.
Ovviamente vi sono i Sigur Ros, uno dei più originali gruppi post-rock in circolazione, deflagrati a fine Novanta mentre la scena storica slintiana di Chicago e Louisville stava ormai lasciando il testimone a quella canadese capitanata dalla Constellation dei Godspeed You Black Emperor. Naturalmente vi sono anche i Mum, anch’essi portatori sani, su Fat Cat e Morr Music, di un modo emblematico, proprio dello scorso decennio, di declinare l’indie in forme elettroniche. Gli stessi GusGus, nella cui lineup trovava spazio a metà Novanta anche Emiliana Torrini (padre italiano e madre islandese), hanno avuto i loro momenti di celebrità in ambito per lo più dancefloor ed elettronico in genere. Nella galleria vengono altresì ritratte una serie di band che invece ai più diranno poco come i Mammut, Mugison, Trabant, Retro Stefson, Sykur, Jakobinarina, FM Belfast. Discorso che invece non vale certamente per gli Of Monsters And Men che l’anno scorso, grazie alla loro Little Talks, hanno ottenuto un tale successo che il pezzo è stato addirittura scelto per la campagna pubblicitaria di un gigante della telefonia mobile. Relax!
Questa mostra ha certamente un pregio: negli scatti di Renaud Monfourny, Hordur Sveinsson, Villiam Hrobovcak e degli altri fotografi coinvolti sono immortalati molti dei musicisti più rappresentativi eruttati dall’isola dei vulcani in questi ultimi decenni. Un buon punto di partenza per chi desideri approfondire quella che possiamo definire a tutti gli effetti e senza retorica una scena musicale decisamente “sui generis”.uj