La terza edizione di Popsophia, il Festival del Contemporaneo, conclusasi ieri con grande successo, è stata dedicata a un tema affascinante: la dialettica eroe/antieroe . Per fare l’esempio più classico, basti ricordare la grande polarità dell’Iliade, quella tra Achille ed Ettore, ossia –nella penetrante lettura di Rachel Bespaloff – il confronto tragico tra l’eroe “della vendetta” (Achille) e l’eroe della “resistenza” (Ettore).
Ettore paga l’uccisione poco gloriosa di Patroclo come Achille pagherà la morte e lo scempio del corpo di Ettore. Così commenta il canto XVIII (verso 309): “Ares è imparziale, e uccide chi ha ucciso”. Nell’eccitazione della carneficina, anche Ettore cessa di rispettare il codice dell’onore. Insultare calpestando il nemico a terra non gli risulta affatto ripugnante, proprio come al suo acerrimo rivale. Vi è un rigoroso parallelismo tra queste due scene di oltraggio nei confronti dei vinti. Patroclo a Ettore: “La morte è il destino invincibile”, allo stesso modo Ettore predice ad Achille la morte “sopra le porte Scee”. La guerra finisce col consumare ogni differenza, umiliando il vincitore, si chiami egli Achille o Ettore, o il vinto, si chiami, ancora, Ettore o Achille.
La dialettica eroe/antieroe passa all’interno dei due protagonisti. Il suo momento supremo è raggiunto nel canto XXIV, quando Priamo si reca da Achille per chiedergli la restituzione del corpo del figlio: “Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me, / pensando al padre tuo: ma io son più misero,/ ho patito quanto nessun altro mortale, portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli!”. La regalità di Priamo colpisce Achille: l’eroe della vendetta si trasforma nell’uomo dominato dall’infanzia e dalla morte: “Allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio; entrambi pensavano…”. E’ questo il momento più elevato, quello sublime dell’Iliade, quel silenzio assoluto dove – suggerisce con finezza, Rachel Bespaloff – “si inabissano il fragore della guerra di Troia, il vociare degli uomini e degli dei, il brontolio del cosmo”. Si tratta di un momento di sospensione che redime tutti, sia pure per un istante, perché nel destino irreversibile di Priamo è comunque scritto l’incendio di Troia, in quello di Achille, la freccia di Paride. Un momento di sospensione estatica, in cui il mondo stravolto riesce a ricomporre la propria figura, abolendo nei cuori sofferenti l’orrore di ciò che è tragicamente imminente.
E’ possibile traferire questa dialettica così sottile nel mondo contemporaneo?
Scelgo il caso esemplare di Andrea Agnelli. Il giovane presidente juventino, animato da uno spirito esasperato di révance nei riguardi dell’Inter, quando concepisce quello che definisco il ‘ricorso contro le telefonate di Giacinto Facchetti, l’ex presidente dell’Inter, morto di cancro prematuramente alcuni anni prima. Andrea Agnelli può reggere il confronto con Achille, il grande eroe del passato, l’eroe per eccellenza della forza e della vendetta? Non riesco ad accettare tale analogia, mi appare improbabile se non addirittura caricaturale. Andrea Agnelli non riesce a diventare né eroe né antieroe, non riesce con il suo atto a essere all’altezza di quella dialettica, rimanendone al di sotto senza neppure sfiorarla.
Molto più persuasiva appare l’analogia tra Ettore e Giacinto Facchetti, eroi della resistenza. Giacinto Facchetti, come Ettore, ha subito tutto, perdendo tutto, anche la vita, tranne se stesso. Morire, per Ettore come per Giacinto Facchetti, ha significato abbandonarsi a una dolorosa distruzione di tutto ciò che si ama. Morte apparentemente senza redenzione, ma in realtà molto vicina al fascino della personalità di Achille, il contraltare di Ettore. Quell’Achille che, quando Ulisse si presenta per cercare di rabbonirlo, si trova in mano la cetra, perché solo l’amicizia e la musica riescono a liberarlo nel profondo.
Giacinto Facchetti con la sua morte irredenta riesce a essere insieme Ettore e Achille, Achille ed Ettore, conquistando un eroismo epico che Andrea Agnelli non riuscirà mai ad attingere.