Dei 371 i milioni stanziati per le piccole e medie imprese in difficoltà di Sicilia, Calabria e Campania (210 dell'Ue, 161 delle banche), sono solo 60 quelli utilizzati. Le cause? "Scarsa informazione", "difficoltà di trovare operatori competenti", "elevati ritardi dei decreti attuativi", "eccessiva burocrazia", "scarsa predisposizione degli istituti di credito a usare i fondi". Eppure in Europa la tendenza è diametralmente opposta
Nella sola Atene stanno aiutando centinaia di piccole e medie imprese a nascere, crescere e dare lavoro: i fondi strutturali europei del programma Jeremie 2007/2013 costituiscono tra il 50 e il 70% del capitale (120 milioni di euro) che finanzia le oltre 200 start up ad alto tasso di tecnologia che stanno facendo intravedere cenni di risveglio nell’economia nella capitale greca. Una scena hi-tech in piena espansione che crea occupazione e attira investitori da ogni parte del mondo, nonché uno spiraglio di luce nel baratro in cui la Grecia è precipitata. Nato nel 2006, Jeremie, Joint European Resources for Micro to Medium Enterprises, è attivo anche in Italia dal 2008 per start up e Pmi in difficoltà: 371 milioni disponibili in Sicilia, Calabria e Campania, dove è gestito dal Fondo Europeo di Investimento, che seleziona le banche che erogano i prestiti e a loro volta prestano il loro denaro alle stesse condizioni. Altri stanziamenti sono previsti in Lombardia, dove l’ente gestore è Finlombarda, la finanziaria regionale. Ma in Italia il fondo funziona male, specie al Sud. Una realtà che si scontra con i dati dei primi tre mesi del 2013, in cui sono state costrette a chiudere 40 piccole e medie imprese al giorno. Le colpe del cattivo funzionamento di Jeremie? Di tutti. Banche, Regioni ed enti gestori: ritardi nell’attivazione, tassi di interesse troppo alti, poche informazioni, “scarsa predisposizione degli istituti di credito a usare Jeremie”.
In Sicilia i fondi sono due, per un totale di 120 milioni: 110 li ha il Dipartimento Finanza e Credito (44 sono dell’Ue, 66 li mette la Bnl), 10 il settore delle Attività produttive con Unicredit, destinati al microcredito. Dal 2009, anno di costituzione del fondo, sono stati erogati solo 10 milioni. “Nel 2012 abbiamo sbloccato il meccanismo – spiega al fattoquotidiano.it Giovanni Bologna, dirigente del Dipartimento Finanza – alzando il massimale da 400 mila euro ad un milione e dando la possibilità alle imprese di ristrutturare il loro credito. Ora la macchina è partita”. Eppure l’assessore all’Economia, Luca Bianchi, il 23 maggio scorso dichiarava: “I fondi Jeremie hanno fallito e se non funzionano occorrerà definanziarli”. Le responsabilità? Il solito scaricabarile. Solo il 5 ottobre 2012 l’allora assessore Armao denunciava “gravi inadempienze dell’Istituto bancario gestore in materia di comunicazione tali da impedire alle imprese la giusta conoscenza delle opportunità dello strumento”. Giovanni Catalano, direttore di Confindustria Sicilia, spiega: “Nell’ultimo seminario che abbiamo fatto, Bnl e Unicredit hanno dato la colpa al complesso meccanismo di gestione delle pratiche: per il microcredito, ad esempio, costa troppo gestire il progetto di un prestito che al massimo è di 25 mila euro, e per questo le banche non hanno interesse a usare questi fondi”.
Ancora peggio va in Calabria. Nell’ottobre 2011 veniva presentato uno stanziamento di 45 milioni. A tutt’oggi alle imprese non è arrivato un euro. Il 29 maggio il nuovo annuncio: 95 milioni a disposizione delle Pmi (52,5 del Banco di Napoli, 42 della Banca del Mezzogiorno). Ma alla conferenza stampa si notava un’assenza importante, quella di Confindustria Calabria: “Il problema è che il pallino è in mano alle banche – racconta il presidente, Giuseppe Speziali – i vincoli sono troppo stringenti e il costo del denaro troppo alto: qual è l’impresa in difficoltà che riesce a prendere un prestito con un tasso dell’11%?”. Colpa della politica per Franco Laratta, politico calabrese, fino al 14 marzo deputato Pd: “I Confidi non bastano, la Regione non ha previsto un fondo di garanzia pubblico in grado di tranquillizzare le banche, che tengono alti gli interessi”. Le cose vanno meglio in Campania. Dei 156 milioni a disposizione (70 dai Fondi Fei e i restanti 85,5 di Unicredit) 50 sono stati erogati alle imprese. Un terzo, un capolavoro nel panorama generale.
Sono 371 i milioni stanziati complessivamente nelle 3 Regioni (210 dell’Ue, 161 delle banche), solo 60 quelli utilizzati. Un’idea complessiva sul perché la dà il Rapporto Finale del Workshop Tecnico sul sistema del Microcredito in Italia, datato 24 febbraio 2012 e firmato da Ente nazionale per il microcredito e Commissione Ue: “scarsa informazione”, “difficoltà di trovare operatori competenti”, “elevati ritardi dei decreti attuativi”, “eccessiva burocrazia”, “scarsa predisposizione degli istituti di credito a usare Jeremie”. A Nord Jeremie è disponibile in Lombardia dal 2008. L’ente gestore è Finlombarda. I pochi dati ufficiali li fornisce il Rapporto sul Microcredito: in Lombardia, si legge, “le risorse messe a bando ammontano a 31,5 milioni”. I siti di Regione, finanziarie e banche traboccano di comunicati che parlano di milioni e milioni di euro a disposizione delle Pmi (dai 76 annunciati da Confidi Lombardia e Intesa Sanpaolo nell’aprile 2010 ai 95 sbandierati da UniCredit ed Eurofidi nell’ottobre 2011), nessuno che parli di erogazioni. Come stanno andando questi fondi? Finlombarda non risponde alle richieste di informazioni.
E il resto dell’Ue? Ad oggi, sono 14 i Fondi Jeremie gestiti dal FEI in Europa. Quasi tutti vanno meglio di quelli italiani. Il Report Annuale 2012 racconta che dei 349 milioni disponibili in Bulgaria a fine anno ne erano stati erogati 90. In Francia due fondi regionali per complessivi 50 milioni sono stati utilizzati per il 32%. La Lituania aveva 170 milioni: 126 sono andati alle imprese. In Romania “i fondi stanziati sono andati oltre i 115 milioni, superando la dotazione del fondo che era di 100”.