Viviamo in un mondo globalizzato nel quale un cambiamento economico in un paese lontano o l’aumento del prezzo di una materia prima ha ripercussioni ovunque, anche nelle nostre vite. Il mondo, quello d’oggi, ruota intorno a una sola divinità: l’economia. Così, l’unico legame che oggi unisce le nostre società d’individui, dove l’edonismo è diventato il fine ultimo di ogni uomo, poco importa delle vite degli altri, a meno che anch’esse non abbiano un valore di mercato. Altre volte, a questa noncuranza del valore della vita altrui, interviene “l’abitudine al dramma”. Se veniamo a sapere che ogni giorno 100 persone muoiono in un dato luogo, questa “notizia” rimane tale fino a che non ci abituiamo e ci stanchiamo di essa. Oggi basta cambiare canale per ignorare.
Che il senso comune di: “valore della vita”, “fratellanza”, “pietà” e “indignazione” sia cambiato è cosa ben nota. Quello che ci è oscuro, è che il progressivo abbandono degli “altri” e dei valori sopra citati ci si ritorcerà contro. La Storia si ripete, lo sanno bene i nostri nonni, e se un domani si ripresenterà a noi, nel nostro bel Paese, quello che oggi accade in Siria, ci ricorderemo della nostra indifferenza di oggi e malediremo il nostro disinteresse odierno. Se i palazzi di Homs, piegati dalle bombe dell’aviazione siriana, fossero i condomini dove abitiamo; se i bambini nei campi profughi o tra le macerie delle città siriane fossero i nostri figli; se noi fossimo lì, ora, non vorremmo una mano?
Sono passati due anni e mezzo da quel 15 marzo 2011 che ha cambiato la vita di milioni di individui. Oggi, dopo più di 800 giorni da quell’inizio, quando alcuni rivolgono il loro sguardo verso la Siria, ciò che ne rimane, tendono a semplificare quello che loro giudicano già incomprensibile. Sui due piatti della bilancia dei crimini di guerra vengono posti (erroneamente) alla pari ribelli e regime. Fa più notizia il radicalismo islamico in Siria rispetto ai bombardamenti indiscriminati sulle città siriane: come se le bombe laiche del regime fossero meglio o facessero meno male di chi viene a fare la Jihad. Ma i missili, quando cascano sulle case, non guardano la religione di chi colpiscono! Così, di fronte a questo “caos”, ci si convince che le colpe siano di tutte e due le parti e quindi diventa possibile portarli a dialogare al tavolo di Ginevra2. Gli oltre 100 000 morti, causati dalla repressione di regime, diventano un dettaglio, insieme ai milioni di profughi fuggiti dal paese. Per capire di chi sia la colpa di quello che accade basterebbe fare un giro nei campi profughi, intervistando i rifugiati: loro sanno chi è il colpevole.
I profughi siriani, uomini e donne che hanno abbandonato tutto per scappare dal genocidio laico di regime, affrontano la sfida della sopravvivenza. Sì, tentano di sopravvivere in campi profughi dove i bambini muoiono di malattie e malnutrizione. Noi, Occidente detentore di civiltà, abbiamo dimenticato che cos’è il dolore di un popolo e il senso di solidarietà che solo 70 anni fa i nostri avi conoscevano bene.
Torniamo alla memoria per analizzare il presente e la Siria: forse ci accorgeremo dell’anelito di libertà e democrazia di un popolo tanto incomprensibile per noi.