Il sindaco di Pietrasanta Domenico Lombardi e il soprintendente architettonico di Lucca Giuseppe Stolfi alla fine hanno vinto: hanno collocato sul portale della chiesa trecentesca di Sant’Agostino, sulla Piazza di Pietrasanta, una lunetta in bronzo di Igor Mitoraj. Pur di farlo, il primo ha calpestato le ragioni di un combattivo e consapevole comitato di cittadini (“La Piazza di Pietrasanta”) e il secondo ha tenuto in non cale le perplessità del Ministro per i Beni Culturali Massimo Bray, che avrebbe voluto almeno un’ulteriore riflessione.
Il sindaco e il soprintendente erano mossi (almeno apparentemente) da un movente esclusivamente estetico: la lunetta di Mitoraj sembrava loro molto bella. Il Comitato, invece, faceva notare che la facciata della chiesa ha seri problemi statici, che non era il caso di aggravare con un ulteriore peso; che la piazza è già stracolma di sculture contemporanee, con uno sgradevole effetto da showroom; che l’opera di Mitoraj è un centone di sue invenzioni già proposte altrove; e che, soprattutto, l’immagine della piazza e della chiesa è un patrimonio comune che non si può alterare senza un consenso universale.
Alcuni mesi fa, io stesso fui invitato dal sindaco ad un dibattito sull’opportunità di collocare o meno l’opera: ma quando vidi che si annunciava contestualmente la data della collocazione, compresi che il dibattito era una foglia di fico, e che la decisione era già presa.
E il punto è proprio questo: la questione non ruota intorno al dilemma bello/brutto, o al soggettivo e puerile “mi piace/non mi piace”, ma ruota invece intorno al rapporto pietre/popolo, cioè patrimonio storico e artistico/ cittadini. Una volta tanto che questo rapporto era vivo e reattivo, il sindaco e il soprintendente avrebbero dovuto prenderne atto e rinunciare all’effimera vanità di lasciare un (assai discutibile) segno su un edificio storico così importante. E non in nome della sua musealizzazione, ma al contrario in nome del legame vivo e attuale che congiunge quell’edificio e l’immagine della sua piazza al tessuto vivo della città.
Peccato che chi doveva essere ancor più attento di sindaco e soprintendente, e cioè l’artista, sia invece stato sordo alle ragioni della comunità. Ma l’arte, mai come oggi, è questione di marketing.