Dopo l’ennesima telefonata senza risposta, finalmente qualcuno, dall’altra parte del telefono si degna di sollevare la cornetta: “Buongiorno, sto organizzando un evento durante il quale si parlerà di strategie di comunicazione per promuovere l’uso del trasporto pubblico locale e vorrei invitare il vostro responsabile del marketing a partecipare, posso avere i suoi riferimenti?”
Inizia così la mia telefonata con un’azienda che gestisce la quasi totalità dei trasporti in una grande città del nord Italia. (Per tutelare il mio interlocutore ho deciso di evitare qualunque riferimento che possa svelarne l’identità)
“Non c’è”
“Si, ehm… Forse non ci siamo capiti, io non ci volevo parlare, volevo solamente sapere il suo nome e, possibilmente, l’indirizzo mail…”
“Appunto, il direttore marketing non ce l’abbiamo.”
Intuisco la situazione, faccio una mezza battuta per capire un po’ di più: “beh, allora vi mando il curriculum e cerchiamo di risolvere il problema!”
“No, guardi, lasci perdere, qui non abbiamo più il dipartimento di marketing, qui sono tutti in cassa integrazione. È un disastro” mi dice la voce dall’altra parte.
“Vabbè, ma delle attività di comunicazione, chi se ne occupa?” Domando.
“L’ufficio stampa, oppure nessuno. Tutti quelli che lavoravano al marketing e alla comunicazione adesso vengono impiegati per andare a controllare i biglietti sugli autobus, a fare le multe. Si figuri che anche il nostro grafico passa le giornate a controllare i titoli di viaggio.”
L’azienda in oggetto impiega oltre duemila dipendenti, 800 mezzi tra autobus e treni e ogni anno sposta 158 milioni di passeggeri che rischiano di rimanere a piedi se la situazione non si sblocca al più presto. Il nome di questa azienda non importa perché il suo problema è lo stesso della quasi totalità delle aziende di trasporto pubblico in italia: sono stati chiusi i rubinetti dei finanziamenti a chi si occupa di trasporto pubblico locale, nonostante il 65% dei costi dovrebbe per legge essere sostenuto dallo Stato. Adesso non resta che aspettare l’ennesimo aumento di capitale o qualche intervento miracoloso che possa ripianare le casse dell’azienda. Altrimenti, la via è segnata: liquidazione e bancarotta.
I soldi non ci sono, dicono dall’alto, però domani e dopodomani in senato si discuterà per impegnare 13 miliardi di euro per l’acquisto di cacciabombardieri F-35 che, come ci ha maldestramente spiegato l’On. Boccia (Pd), oltre che per fare la guerra, sarebbero utili anche per spegnere incendi e trasportare malati. Sarebbe bello scoprire alla fine che questi aerei da guerra possono essere adibiti anche al trasporto passeggeri: sarebbero una vera manna dal cielo per risolvere il problema del traffico e gli italiani potrebbero essere paracadutati direttamente davanti al luogo di lavoro.
Giusto per capire di cosa stiamo parlando, con 13 miliardi di euro si possono comprare 90 cacciabombardieri oppure 40 mila autobus urbani. Lascio a voi il giudizio su quale delle due scelte sarebbe più utile, quale porterebbe maggiore occupazione, quale migliorerebbe la vita di noi cittadini.
Per dovere di cronaca segnalo che è in corso una petizione online che ha raccolto già 250 mila firme in pochi giorni per chiedere al Parlamento di non procedere all’acquisto di quelli che, secondo Canada, Danimarca e Turchia, sarebbero dei veri e propri bidoni alati.
Potete firmarla sulla piattaforma avaaz.org