Malati di smartphone, tablet, cellulari e pc: sfiorano quota 2 milioni i lavoratori a rischio “tecnostress” in Italia. Fra le categorie più esposte, non a caso, troviamo operatori che passano la giornata davanti al piccolo schermo: networker (in genere consulenti, che usano almeno tre dispositivi mobili connessi per lavoro), lavoratori Ict, operatori di call center, ma anche commercialisti, giornalisti, pubblicitari e analisti finanziari. E’ quanto emerge dall’ultimo studio condotto da Enzo Di Frenna, blogger de ilfattoquotidiano.it e presidente di Netdipendenza onlus. L’esperto fa il punto sul fenomeno nel nuovo libro ‘Prevenzione tecnostress in azienda e sicurezza sul lavoro‘, in uscita in questi giorni. Nel complesso si tratta di 1.849.732 lavoratori che si dividono fra computer, internet, smartphone e tecnologie mobili touchscreen.
“In Italia ci sono 22 milioni di ‘mobile surfer’ e 7,3 milioni di ‘mobile worker’, secondo i dati del Politecnico di Milano e Assinform. Insomma, nonostante la crisi i lavoratori digitali sono forte in aumento. Tra febbraio e maggio scorso Netdipendenza onlus ha realizzato due ricerche da cui emerge che il tecnostress è un rischio professionale per quasi due milioni di lavoratori, che possono contrarre questa nuova malattia legata al progresso”, spiega Di Frenna. Non solo. In un sondaggio condotto tra i duemila operatori dell’Associazione nazionale formatori sicurezza sul lavoro (Aifos), che applicano il Testo unico 81/2008 e aiutano le aziende a prevenire incidenti, infortuni e malattie professionali, emerge che per il 60% dei formatori il tecnostress rappresenta un rischio per la salute dei lavoratori. Mentre l’80% assicura che i lavoratori spesso lamentano alcuni dei disturbi tipici del tecnostress: mal di testa, ipertensione, disturbi agli occhi, alterazione della memoria, ansia, insonnia e disturbi gastrointestinali. Sempre secondo i formatori dell’Aifos i lavoratori sono poco informati sul rischio tecnostress e il 90% ritiene necessaria un’adeguata formazione per prevenire la malattia professionale.
Per questo motivo Netdipendenza onlus ha progettato il primo corso sul ‘Rischio tecnostress lavoro correlato’, autorizzato dall’Aifos ai sensi del Testo unico 81/2008, a cui possono partecipare lavoratori, datori di lavoro, medici, psicologi e operatori della sicurezza ottenendo un attestato valido che risponde all’obbligo normativo di valutare lo stress nelle aziende, entrato in vigore nel 2010, ed effettuare gli interventi di formazione previsti dalla normativa. Il corso sarà presentato ufficialmente alla Fiera ambiente lavoro, che si terrà a Bologna dal 16 al 18 ottobre, rivolgendosi ai professionti chi si occupano di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. “La conferma che si tratta di una vera emergenza – sottolinea Di Frenna – arriva anche dal giudice Raffaele Guariniello della Procura di Torino, autore della prima sentenza sul tecnostress nel 2007, in seguito a un’inchiesta nei call center“. Dal volume sul tecnostress, in uscita in questi giorni, il magistrato lancia un monito: “Se un’azienda deve stilare il ‘Documento valutazione rischio stress lavoro correlato‘ e lavora, ad esempio, nel settore dell’Information technology o nel settore editoriale dove si usano molto le nuove tecnologie, deve includere sicuramente il rischio tecnostress. Si applica, in sostanza, il Testo unico 81/2008, articoli 28 e 29 sulla valutazione dei rischi sanzionata con la pena dell’arresto e dell’ammenda, e 36 e 37 sull’informazione e formazione dei lavoratori”. Guariniello rivela anche che, presso il suo ufficio, continuano ad arrivare denunce di lavoratori che lamentano la patologia del tecnostress: “Di recente si è rivolto in Procura un impiegato di una grande azienda che, per lavoro, usa parecchio le nuove tecnologie e lamenta disturbi alla salute. Il datore di lavoro e le strutture aziendali, a quanto pare, non hanno risolto il problema. Stiamo procedendo con gli accertamenti medici e tecnici, con l’ausilio di consulenti del Politecnico”.
Tra le nove categorie prese in esame nel libro da Di Frenna ci sono gli operatori di call center, su cui sono state effettuate le prime inchieste della magistratura. “I call center – ricorda Guariniello – tornano spesso alla nostra attenzione, poiché facciamo abitualmente indagini sulle malattie professionali. L’informazione digitale oggi è presente in modo massiccio e si possono verificare casi nuovi di tecnostress. Ciò rientra nei nuovi rischi professionali che bisogna valutare, come prevede la normativa”. Nei call center lavorano gli operatori di ‘contact center in outsourcing’: sono 80mila in Italia e sono tra le categorie più esposte. Lo spiega bene nel libro il direttore generale di Assocontact, Alberto Zunino: “Attualmente stiamo portando avanti con Inail e altri interlocutori un progetto sul tema del rumore, che notoriamente è tra le problematiche che causano il tecnostress”. Altra categoria vulnerabile è quella delle imprese di Information technology. “Il tecnostress – spiega nel volume Paolo Angelucci, presidente di Assinform, che rappresenta 1500 aziende del settore – si previene intervenendo sul carico di lavoro“.
Altre soluzioni? Un’adeguata formazione per la prevenzione del rischio. Quest’anno, rispetto alla precedente ricerca di Netdipendenza, entrano nella ‘lista nera’ i commercialisti, stressati dall’uso eccessivo delle nuove tecnologie: dai software contabili che si aggiornano di continuo, alle scadenze fiscali impellenti che spesso si gestiscono con tablet e smartphone. Lo conferma Mario Civetta, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Roma (10mila iscritti): “I commercialisti sono tra le categorie maggiormente esposte ai rischio da tecnostress. L’aumento progressivo della pressione fiscale si è accompagnato, nell’arco di un decennio, a una iper-produzione di norme – su diversi livelli – ma soprattutto in materia fiscale. Il commercialista è chiamato a districarsi in questo labirinto normativo, assumendo decisioni delicate per conto del cliente-contribuente. Scelte che impegnano risorse economiche, in tempi rapidissimi e con scarse possibilità di rimediare ad errori”.
Situazione non migliore per i pubblicitari. “I pubblicitari vivono sempre connessi e la patologia del tecnostress è in agguato – spiega Mario Modica, direttore generale dell’Associazione italiana pubblicitari professionisti (32mila operatori) – A me capita spesso di dormire con il tablet e lo smartphone a portata di mano. Se arriva un messaggio, sono pronto a rispondere. E ciò, purtroppo, anche in orari extralavoro. La tecnologia ci segue ovunque, in molti casi favorisce la produttività, ma in altri c’è il rischio di assuefazione. Uno dei rischi principali è l’insonnia. Si dorme poco e con l’ansia di accontentare il cliente”. Per ridurre l’impatto del tecnostress nei luoghi di lavoro c’è chi propone di rendere obbligatoria la ‘pausa digitale’, come suggerisce Orazio Carabini, vicedirettore del settimanale ‘L’Espresso’. Molti però si portano il lavoro in vacanza, restando sempre connessi e col tablet e cellulare a portata di mano. In questo modo il cervello non riposa mai”.