All’aumento vertiginoso del numero degli studenti che partono per un periodo di studio all’estero non corrisponde quello di chi, giovane o meno giovane, si sente davvero europeo. Secondo le statistiche della Commissione europea, l’anno scorso oltre 250mila giovani sono partiti per studiare o fare uno stage all’estero, eppure i sondaggi danno la percezione positiva dell’Europa ai minimi storici. Ma allora a cosa serve l’Erasmus?
I dati parlano chiaro, non c’è bisogno di interpretarli. Nell’anno accademico 2011-2012 oltre 250mila giovani hanno effettuato un tirocinio o hanno trascorso un periodo di studi all’estero, un numero mai visto in passato. Dal suo avvio nel 1987, oltre tre milioni di studenti europei sono partiti, 23.377 italiani (un aumento del 6,1% rispetto all’anno accademico precedente). La Spagna è la metà favorita (vuoi per il celebre film “L’Appartamento spagnolo” o vuoi perché fa caldo) (39.545), seguita da Germania (33.363), Francia (33.269) e dall’Italia (20.204). Bologna risulta la terza città più selezionata d’Europa (1.713) dietro a Granada e Madrid (circa 2.100 ciascuna). Poi La Sapienza di Roma (ottava), l’Università degli studi di Padova (nona), l’Università degli studi di Torino (27esima), il Politecnico di Milano (32esimo), la Federico II di Napoli (33esima) e l’Università degli studi di Milano (43esima). Sempre più popolari i tirocini in azienda che, con una crescita del 18%, hanno visto la partecipazione di quasi 50 mila persone.
Eppure i dati sulla percezione dell’Unione europea da parte dei suoi cittadini sono impietosi: l’Europa è sempre più vista con scetticismo, per non dire astio. Un recente sondaggio de La Stampa vede il 58% degli italiani considerare l’Europa come un problema, mentre secondo un altro sondaggio Gallup Europe è l’intera Ue ad andare nella direzione sbagliata, specie durante la crisi economica. I francesi sono i più pessimisti, con il 62 % di critici. In Gran Bretagna i contrari sono il 56% contro il 23%, in Germania il 45% contro il 33% e in Polonia il 39% contro il 27%. Chi non ha risposto è perché forse non sapeva cosa dire. Nel frattempo in tutto il continente sbocciano i movimenti che vorrebbero chiudersi a riccio all’insegna della più anacronistica autarchia politica, sociale e culturale, non soltanto tagliando i ponti con Bruxelles ma con tutto quello che non parli la propria lingua, italiano, francese, tedesco o ungherese che sia.
Perché questi dati vanno letti insieme? Semplice, perché l’Erasmus non è un regalo fine a se stesso fatto da Bruxelles agli studenti ma un progetto che, almeno in teoria, dovrebbe contribuire a formare una coscienza comune europea, insomma i cittadini europei del futuro. Tra gli obiettivi del progetto, sul sito ufficiale della Commissione, si legge: “Un periodo passato all’estero migliora non solamente la vita degli studenti sul piano accademico e professionale ma anche l’apprendimento delle lingue, delle competenze interculturali, dell’autonomia e conoscenza di se stessi. Questa esperienza permette agli studenti di capire cosa vuol dire essere cittadini europei”. Si perché se l’Unione europea investe circa 450 milioni di euro l’anno (nonostante i tagli chiesti dai governi nazionali e non da Bruxelles) su questo progetto non è solo per regalare qualche mese di soggiorno all’estero ai nostri ragazzi. Lo studente Erasmus diventa infatti il protagonista di un’esperienza unica che per un breve periodo (da 3 a 9 mesi) lo vede vivere come un vero europeo, ovvero in una realtà diversa da quella di casa, dove stringerà amicizie (e spesso altro) con giovani che parlano un’altra lingua e hanno altre abitudini, dove imparerà a guardare la realtà di tutti i giorni da una prospettiva diversa, dove proverà sulla propria pelle cosa vuol dire vivere in una realtà eterogenea e multiculturale come quella europea.
Sempre in teoria, almeno secondo quanto spera Bruxelles, lo studente Erasmus dovrebbe portare a casa un pezzetto di questa realtà facendo crescere in sé stesso quel piccolo europeo che ha scoperto oltre confine, se ancora di confini si può parlare nella piccola e vecchia Europa. Tuttavia ad oggi qualcosa continua ad andare storto. Troppi giovani vivono l’esperienza solo parzialmente, divertendosi (aspetto fondamentale per carità) senza aprire davvero cuore e mente all’esperienza che stanno vivendo. Leggerezza giovanile? Forse, ma le responsabilità vanno anche condivise con Bruxelles, che evidentemente non riesce a comunicare al meglio il vero spirito dell’Erasmus, e con gli istituti universitari, che lasciano morire troppo presto la scintilla europea di chi parte e soprattutto di chi torna.Insomma che dire? Non molto, ma continuare a partire da italiani e non tornare nemmeno un po’ da europei, sarebbe davvero un peccato.
@AlessioPisano