Se ne va. Anzi, resta. A Salerno. Per interposta persona: sarà il vice sindaco di fiducia a presidiare il fortino del consenso. “Dimissioni” è una brutta parola. Meglio “decaduto”, avrà pensato il sindaco-viceministro Pd Vincenzo De Luca. Come fece nel 2000 Antonio Bassolino che andò a fare il Governatore della Campania senza dimettersi da sindaco di Napoli, donando un altro anno di vita a giunta e consiglieri.
Sarà così anche a Salerno, dove ieri mattina il consiglio comunale – dopo un mese per non meglio precisati “approfondimenti” – ha deliberato con 23 sì, 4 no e 5 astensioni la contestazione dell’incompatibilità.Voto palese e discussione a tratti surreale. Un consigliere ha persino rivendicato con orgoglio “l’attaccamento alla poltrona”.
La procedura ora prevede dieci giorni per le controdeduzioni di De Luca. Decisione scontata, ma la decadenza dalla carica di primo cittadino dovrà essere sancita da un’altra seduta di consiglio, forse entro la fine dell’estate. Non era meglio dimettersi? In quel caso l’amministrazione sarebbe stata commissariata. Così invece, la vice sindaco Eva Avossa – ma De Luca potrebbe in teoria ancora mettere mano alla giunta – diventerà sindaco facente funzioni fino al 2014. Mentre De Luca, caduto prima dei due anni e mezzo, non matura il secondo mandato consecutivo e quindi potrà ricandidarsi nel 2014. Ipotesi di scuola, perché il viceministro mira a diventare Governatore. Proprio ieri il Pd campano aveva fissato una riunione per investirlo ufficiosamente. “Saltata” per malumori nel gruppo regionale.
Nel governo Letta, De Luca non è un caso isolato. Prima di lui, era stato il ministro degli Affari Regionali Graziano Delrio, già sindaco di Reggio Emilia, a percorrere la stessa strada della “decadenza”, preferita alle dimissioni. E in parlamento? All’inizio della legislatura, erano una quarantina i parlamentari con doppio incarico. A parte passi indietro spontanei, devono essere le giunte per le elezioni di Camera e Senato a decidere. “Da noi il capitolo delle cariche non è ancora stato affrontato”, spiegano al Senato. Qualcuno ha preso da solo l’iniziativa. I casi di chi ha scelto di lasciare Palazzo Madama si contano sulle dita di una mano. C’è quello più unico che raro di Marino, che si è dimesso prima ancora di essere eletto sindaco di Roma. Poi c’è il vice di Maroni al Pirellone, Mario Mantovani, che però per consolarsi mantiene la poltrona di sindaco di Arconate, il leghista Garavaglia, che ha optato per la giunta lombarda, il Pdl Verro che ha preferito presidiare il Cda Rai.
La giunta delle elezioni della Camera è più avanti con il lavoro. Facilitato dalle dimissioni di Cota, Vendola e Smeriglio. Il 28 maggio ha analizzato la posizione di 25 deputati con incarichi regionali. Ma molti per quella data avevano già sciolto il rebus. Restano cinque deputati, sindaci di Comuni con meno di 20mila abitanti, che ancora temporeggiano sulle dimissioni. In questo caso imposte dal decreto Tremonti del 2011. Si tratta di Floriana Casellato, sindaco di Maserata sul Piave, Roger De Menech, sindaco di Ponte nelle Alpi, Filippo Piccone, sindaco di Celano, Antonio Placido, sindaco di Rionero in Vulture, e Simonetta Rubinato, sindaco di Roncade. Lo scorso 27 giugno la giunta ha fatto partire il conto alla rovescia anche per loro. Come pure per il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno, del Pd, e per quello di Cornuda, il leghista Marco Marcolin. Un emendamento Pd-Pdl-Lega-SeL al decreto del Fare però potrebbe salvarli, cancellando l’incompatibilità per i parlamentari eletti sindaco in Comuni con meno di 20mila abitanti prima dell’entrata in vigore del decreto di Tremonti, nel 2011.
di Mariagrazia Gerina e Vincenzo Iurillo
Da Il Fatto Quotidiano del 10 luglio 2013