No alla Chiesa che vieta i funerali di un mafioso, no ai pentiti. Non sono le parole di un boss, ma di una vedova di boss. “Mi chiamo Rosa Pace e sono la vedova di Mariano Agate, ex detenuto del carcere di Viterbo sottoposto al regime del 41 bis, morto per un cancro dopo un’agonia a dir poco terribile il 3 aprile di quest’anno…”. Comincia in questo modo la lettera, il cui contenuto è stato reso noto dal sito Live Sicilia. La vedova del boss mafioso Mariano Agate ha voluto protestare contro il vescovo di Mazara, monsignor Domenico Mogavero, che ha vietato anche le esequie private, dopo che il questore aveva vietato quelle pubbliche.
Per la vedova una decisione “più per apparire che per sentire religioso”. Parole che sono sembrate quasi un atto postumo di sfida proprio del marito: “Una mera propaganda giustizialista che ha fatto di me e della mia famiglia carne da macello… non ha sentito la necessità di esercitare il ruolo di Pastore di Anime, e di seguire i mirabili comportamenti manifestati da giusti Rappresentati della Chiesa come Padre Puglisi, che ha veramente dedicato la propria vita alla fede ed ai fedeli…”.
A seguire il disgusto per i collaboratori di giustizia: il pentimento religioso del marito in punto di morte “è un vero pentimento… Essere un collaboratore di giustizia non è e non sarà mai condizione necessaria del pentimento morale o religioso… La collaborazione con la giustizia è solo un mero strumento necessario ai nostri magistrati per la lotta alla mafia”. Secca e severa la risposta del Vescovo Mogavero: “Non si accosti il Beato Puglisi, che ha dato la propria vita per sconfiggere la mafia e il disprezzo di essa per la vita, a un uomo condannato per omicidi e strage”.
E’ rimasto un dialogo a due, quello tra la vedova e il vescovo.”La moglie di Mariano Agate non chiama in causa il vescovo di Mazara del Vallo, ma la comunità cristiana in quanto tale.…”. Più che alla vedova Mogavero si è rivolto alla sua comunità che pochi mesi addietro ha affollato la Chiesa per il funerale di un imprenditore, Paolo Forte, accusato di essersi associato alla mafia di Messina Denaro. Mogavero ha parlato a quella comunità che ha lasciato da soli anni addietro i figli che rinnegarono il padre perché colletto bianco colluso con Agate, quella comunità che oggi continua a chiamare “padre Pio” un altro boss mafioso, Giovanni Bastone. Era un potente Mariano Agate, “il signore del male” come lo hanno definito in tanti, “socio” dell’”Escobar” calabrese Roberto Pannunzi, custode della latitanza di Totò Riina, massone.
Una strategia di potere costellata poi da delitti, omicidi eccellenti, stragi come quella di Capaci. Nel 1983 passeggiando per i corridoi del carcere di Trapani annunciò l’imminente omicidio del giudice Ciaccio Montalto, nel 1988 – imputato in Corte di Assise a Trapani – mandò a dire a Mauro Rostagno, che in tv a Trapani raccontava le sue gesta mafiose, di smetterla di “dire minchiate”. Mariano Agate, lui più di Matteo Messina Denaro, è stato “l’inventore” della mafia sommersa e della mafia che fa impresa e che però “sa sparare e sa mettere le bombe” quando è ora “di sparare e mettere le bombe”.