Non amo soffermarmi sui fatti di cronaca, penso che ci sarà sempre qualcuno che descriverà e racconterà tali avvenimenti meglio di me e poi il rischio di sconfinare nel gossip o nei giudizi facili e sommari è alto. Non mi sento a mio agio nel parlare di qualcuno che non conosco e che esce dall’anonimato a causa di qualche tragedia, è come se non ne avessi il diritto o dovessi far fede ad un certo pudore personale, perciò nove volte su dieci evito sia di scriverne sia semplicemente di parlarne, ma c’è sempre quella volta su dieci in cui decido di fare uno strappo alla regola.
I fatti di cronaca che più mi possono riguardare, all’interno di questo blog, sono le uccisioni di donne da parte di uomini. Chiamiamoli femminicidi o come volete, non è una disputa sul nome che metterà al riparo le nuove vittime, così come non è facendo finta che le donne non possano essere a loro volta violente e prevaricanti che aiuteremo il maschile a mettersi in discussione e non è contestando il fatto che siano comunque più le donne ammazzate per mano di uomini che gli uomini ammazzati per mano di donne che arriveremo da qualche parte. Le mie posizioni rispetto a tutto questo ho avuto modo di esprimerle già in diversi post.
Ieri Tiziana Rizzi, una donna di 36 anni,è stata ammazzata dal marito Marco Malabarba,operaio di 39 anni, dopo una lite, con una ferita al collo; il figlio era in casa con loro. E’ successo a Landriano in provincia di Pavia. Ho letto un trafiletto di notizia su internet, non l’ho sentita dai tg che, di solito, non si lasciano scappare una notizia di “femminicidio” in chiusura del giornale (anche se, ovviamente, può essere stata data in tg che non ho guardato).
Due sono le cose che meritano, secondo me, un’ attenzione particolare e che si saranno verificati in altri casi precedenti ed infatti, da questo specifico caso, voglio solo trarre spunto. Primo, mi ha colpito la coltellata inferta alla gola della donna dal compagno e, secondo, la presenza del figlio.
Non sono un esperto di armi o di ferite, ma un coltello alla gola mi sembra sia diverso da un coltello in pancia che è più diretto e meno controllato. Per una coltellata alla gola ci vuole un minimo di premeditazione e di sangue freddo in più, una mira migliore e si è più sicuri di ammazzare la persona colpita. Una coltellata in pancia può non essere mortale, più facile lo sia un taglio netto alla gola. Se le mie osservazioni sono corrette, questo gesto appare ancora più feroce.
In casa c’era anche il figlio della coppia, un bambino di due anni e mezzo che non ho chiaro se abbia assistito a qualcosa o meno, ma che, da adulto, dovrà convivere con la realtà che suo padre ha ammazzato sua madre con lui a pochi metri di distanza. La violenza gli ha tolto, in un colpo solo, entrambi i genitori senza che abbia ancora sviluppato le capacità per rendersene conto. Cercando di non fare troppa speculazione psicologica da due soldi mi ha colpito anche che Malabarba, come primo gesto dopo l’uccisione, si sia recato dai propri genitori, quasi sentisse il bisogno di essere protetto lui, come figlio, dalle figure genitoriali proprio in un momento in cui, come padre, falliva recando un enorme danno al proprio figlio: la perdita della madre.
Cosa può portare un uomo ad ammazzare barbaramente la propria donna senza che neanche la presenza del figlio possa costituire un deterrente? La risposta è fin troppo facile: la rabbia. La domanda più difficile è come poter contenere la rabbia quando travalica la lucidità di pensiero?
La violenza non è eliminabile, l’uomo (e la donna) avrà sempre bisogno di dare sfogo alla propria carica di aggressività, ma io che molte di queste tragedie possano essere evitate ci credo e continuo a lavorare in tal senso.
Abbiamo bisogno di luoghi dove gli uomini possano essere ascoltati ed aiutati a gestire la loro rabbia e abbiamo bisogni di luoghi dove le donne possano ritrovare sicurezza e fiducia, abbiamo bisogno di prevenire.