I pm tentarono di sentire Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako, ma l’ufficio immigrazione rispose: va spedita subito ad Astana. A guardia della villa un carabiniere e un agente della Presidenza del Consiglio
Nel primo pomeriggio di venerdì 31 maggio avviene uno scambio tra la procura di Roma e l’ufficio immigrazione della questura: i magistrati vogliono sentire Alma Shalabayeva, su richiesta dei suoi legali, in merito al passaporto ritenuto falso, motivo per cui è indagata ed è quindi suo diritto essere ascoltata a spontanee dichiarazioni. Ma gli agenti rispondono via fax che il documento è contraffatto. Quindi il passaggio è inutile. In realtà si è poi accertato che il passaporto era autentico. Inoltre quel pomeriggio Alma era già in viaggio verso Ciampino dal Cie di Porta Galeria, dove era stata condotta appena due giorni prima.
“Di seguito alle intese telefoniche odierne, con riferimento al sequestro del passaporto diplomatico esibito dalla nominata in oggetto risultato contraffatto, si trasmette la nota del Ministero degli Esteri” del Burundi, “la nota verbale dell’Ambasciata del Kazakistan in Italia relativa alla reale identità della Shalabayeva alias Ayan”. Inoltre, conclude fra l’altro il fax, “la Shalabayeva è nella condizione di essere rimpatriata, unitamente alla figlia minore”. Il fax firmato da Maurizio Improta, capo dell’ufficio immigrazione, è stato ricevuto dall’ufficio del procuratore capo, Giuseppe Pignatone e inviato all’attenzione anche del magistrato Eugenio Albamonte, alle 15.22 del 31 maggio.
La moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, insieme alle figlia Alua di 6 anni, vengono nel frattempo portare a Ciampino. Qui, poco dopo le 18, viene stilato il verbale di affidamento della minore. Un verbale “redatto sottobordo”, in pratica sulla pista ai piedi dell’aereo, si legge nel documento, “alla presenza del console onorario Nurlan Khassern”. La bambina viene affidata “all’ambasciatore del Kazakistan Yerzhan Yessirkepov”. Che prende in consegna le due donne, le fa salire sul jet privato appositamente affittato al mattino alle 11 in Austria dal governo kazako, che lascia Ciampino alle 19 esatte.
La ricostruzione di quanto accaduto quel 31 maggio è solo una piccola parte dell’informativa della Digos allegata agli atti delle indagini sul rimpatrio forzato delle donne che sta mettendo in seria difficoltà il governo di Enrico Letta e in particolare il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano che sarebbe intervenuto direttamente, su espressa richiesta del regime kazako, senza coinvolgere Palazzo Chigi né il ministero degli Esteri né quello della Giustizia. I documenti allegati agli atti riguardano il periodo dal 24 maggio in poi. In quella data, infatti, il dissidente Ablyazov viene intercettato, fotografato e filmato nel quartiere dell’Eur a Roma. In compagnia di alcuni familiari a passeggio e a bordo di un monovolume bianco. Per questo la Digos decide di organizzare il blitz nella villa che la famiglia ha affittato a Casal Palocco dove erano arrivate a inizio mese.
A carico dell’uomo, maggior oppositore del regime di Nursultan Nazarbayev, c’è un mandato di cattura internazionale. Ma uno, non due: emesso dal Kazakistan. In Gran Bretagna, dove è rifugiato politico da diversi anni, Ablyazov ha una pendenza civile. Nessun mandato di cattura inglese, dunque. Come invece inizialmente era stato fatto trapelare. Gli uomini della Digos decidono di intervenire la notte tra il 28 e il 29 maggio. Nel pomeriggio del 28 effettuano un sopralluogo a Casal Palocco (che nel verbale diventa “Casal Balocco”) per pianificare il blitz e trovano tre persone. Ed ecco un’altra sorpresa che emerge tra gli atti: “D. F. si identifica con una tessera della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, un secondo “mostra un tesserino dei Carabinieri”. Infine i due spiegano “di aver ricevuto incarico da un cittadino israeliano, Forlit, residente in Tel Aviv (…) dove è titolare della società Gadot Information Service”.
Alle 18.10, annotano gli agenti della Digos nell’informativa allegata agli atti, “personale investigativo nota un uomo di 55/60 anni di sesso maschile con un auricolare intento a comunicare con un altro uomo all’interno di un auto posteggiata nei pressi dell’abitazione di via Casal Balocco 3. (…) A richiesta di esibire i documenti il primo, D. F., diceva essere personale polaria e mostra tessera del Consiglio dei Ministri dopo aver tentato di divagare con risibili motivazioni (…) spiega di aver ricevuto incarico dal cittadino israeliano Forlit, dietro pagamento di 5mila euro, di verificare la presenza di una persona”.
La Digos procede alla bonifica della zona: alle 20 ha la certezza che Ablyazov sia all’interno della villa. Rimane un presidio di pochi agenti per verificare che nessuno si allontani da lì. Poi la notte scatta il blitz. E viene arrestato un uomo. Ma è il cognato del dissidente. E anche lui viene condotto al Cie insieme alla moglie di Ablyazov, Alma. Mentre Alua, la bimba di sei anni, viene affidata temporaneamente alla zia che rimane a Casal Palocco. La competenza a questo punto passa dalla Digos, guidata da Lamberto Giannini, agli uomini dell’ufficio immigrazione, a cui capo è Maurizio Improta. Alma entra al Cie poco prima dell’alba del 29 maggio. Dopo appena poche ore il prefetto emette il decreto di espulsione. Lo ricorda lo stesso Improta anche nel fax che invia ai magistrati.
L’ambasciata del Kazakistan invia i documenti relativi alla reale identità della donna solo il giorno successivo, quando ormai Alma è partita, con la figlia, e spedita nelle mani di Nazarbaev accusato ancora ieri da Amnesty International di ingannare la comunità internazionale . L’organizzazione ha denunciato “l’uso regolare della tortura e dei maltrattamenti in Kazakistan” dove le forze di sicurezza agiscono con impunità e la tortura nei centri di detenzione sia la norma. A questa realtà le autorità italiane hanno affidato Alma e sua figlia.
Oltre alle indagini della Procura, anche la politica ha avviato un’inchiesta. Ieri durante la riunione del Copasir Claudio Fava ha invocato “una risposta di Alfano”. Va svelata, ha aggiunto il deputato di Sel, “la catena di comando di un’operazione opaca nelle forme e grave nel contenuto. Noi vogliamo sapere da Alfano chi ha chiesto al dottor Maurizio Improta di intervenire con modalità inconsuete e con tanta solerzia per espellere le due kazake e chi si è assunto la responsabilità di dare informazioni frettolose e imprecise su un presunto passaporto falso in possesso della donna che invece era autentico”
da Il Fatto Quotidiano del 12 luglio 2013