Buon compleanno carissima Malala. Tutte le donne del mondo: bambine, adolescenti, giovani e anziane dovrebbero inviarti i loro migliori auguri per il tuo sedicesimo compleanno. Tutte le madri, oggi, dovrebbero trovare il tempo per raccontare ai propri figli la tua storia, il tuo coraggio e la speranza che sei riuscita a infonderci per tornare a lottare per i nostri diritti. Diritti di persone, prima che di esponenti di quello che ancora oggi, nel terzo millennio, nel vicino e lontano Oriente, in Africa ma anche nel nostro “progredito” Occidente – in primis in Italia dove il femminicidio è cronaca quotidiana – è considerato il sesso inferiore.
Grazie al tuo coraggio, alla tua lotta per la parità, per il diritto allo studio sei stata in fin di vita per lunghi mesi. Le pallottole dei talebani ti hanno costretta a terribili sofferenze, ti hanno deformato il volto ma hanno reso il tuo spirito, le tue idee ancora più consapevoli, lucide e potenti. Ti mando i miei auguri da Istanbul dove Tayyip Erdogan, l’uomo che governa da 11 anni questa repubblica fondata sulla laicità e sulla parità tra uomini e donne, sta cercando, nel silenzio complice e cinico dell’Europa, di portare la Turchia nel gruppo dei Paesi che odiano e temono le donne: come potremmo definire altrimenti le restrizioni, anzi le proibizioni, anzi gli abusi, le violenze fisiche e psicologiche, gli stupri che le donne turche, egiziane, saudite, tunisine, somale affrontano ogni secondo della loro vita da sempre? Qualche mese fa il governo islamico turco, al guinzaglio di Erdogan, ha abolito l’aborto, ha imposto ai medici di comunicare immediatamente ai mariti e ai padri lo stato di gravidanza delle loro mogli e figlie. Come fossero le loro schiave. Come oggetti di loro proprietà. Ma la religione, qualsiasi essa sia, è solo un pretesto per un mondo, ancora dominato dagli esponenti del “sesso forte”, per mantenere le leve del potere, a sua volta organizzato dalle lobby, dalla massoneria che, guarda caso, non accettano tra i loro membri le donne, a meno di usarle come esche sessuali, non di certo come consigliere o fonti di ispirazione.
Perché difficilmente – è una mia opinione e anche una speranza – le donne, qualora ottenessero il potere, continuerebbero ad accettare un’economia basata sul commercio di armi, sul narcotraffico, sull’esternalizzazione della produzione nei paesi poveri dove la manodopera non costa niente e costa ancora di meno quando si tratta di stabilire il salario delle operaie (ricordate il massacro di lavoratrici in Bangladesh tre mesi fa, quando un tugurio chiamato fabbrica crollò, seppellendo decine di ragazze?). Certo non tutte le donne sono oneste: una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo, la ‘ndragheta vede a capo delle cosche più feroci alcune donne, nonché madri. Dilma Rousseff, ex guerrigliera, oggi presidente del Brasile, non ci ha pensato due volte a ordinare alla polizia di sedare con i lacrimogeni e i manganelli la sacrosanta rivolta degli studenti e degli indigenti che chiedono un’equa distribuzione delle tante ricchezze del paese.
Per questo abbiamo bisogno, tutti, donne e uomini, questi ultimi in qualità di padri di “figlie femmine” già nate e ancora da nascere, di ragazze come Malala Yousufazi e di genitori come i suoi, che non hanno mai ostacolato la sua lotta per i diritti delle donne e, di conseguenza, dei suoi eventuali futuri figli e figlie. Di coloro cioè che costituisco la cosiddetta umanità.