I richiedenti asilo per persecuzioni sessuali hanno diritto a ricevere lo statuto di rifugiato nei paesi dell’Unione europea. E’ il parere ufficiale dell’avvocato generale Eleanor Sharpston della Corte di Giustizia europea propedeutico alla prossima sentenza sul caso di tre richiedenti asilo nei Paesi Bassi e provenienti da Sierra Leone, Uganda e Senegal, dove gli omosessuali sono puniti con multe e carcere fino all’ergastolo. Il caso costituirebbe un precedente molto importante per i richiedenti asilo in Europa per motivi di persecuzioni sessuali, dove, secondo il rapporto europeo Fleeing Homophobia 2012, sono in circa 10mila a cercare rifugio. Ma il fatto che l’omosessualità sia considerata “reato” nel paese d’origine non basta, ci vuole l’evidenza di persecuzione.
I tre richiedenti asilo sono cittadini della Sierra Leone, Uganda e Senegal. Tutti e tre sono omosessuali e hanno chiesto lo status di rifugiati nei Paesi Bassi, sostenendo di avere il fondato timore di persecuzione a causa del loro orientamento sessuale. Gli atti omosessuali configurano in tutti e tre i paesi “reati passibili di pene severe”. Nel parere del giudice Sharpston, si legge che “ai sensi della direttiva europea 2004/83/CE, che fa riferimento alle disposizioni della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, un cittadino di un paese terzo che per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, può chiedere lo status di rifugiato”. Questo, precisa il giudice, a patto che “eventuali atti di persecuzione siano sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave di diritti umani fondamentali”.
Nel caso in questione, il Consiglio di Stato olandese ha chiesto alla Corte di Giustizia se i cittadini omosessuali di paesi terzi costituiscano “un particolare gruppo sociale” ai sensi della direttiva europea di riferimento. La riposta del giudice Sharpston è affermativa. Ma attenzione: “Il fatto di qualificare come reato l’attività omosessuale non costituisce di per sé un atto di persecuzione” bensì “spetta alle autorità nazionali, del paese in cui viene fatta domanda di asilo, valutare se sia probabile che un determinato richiedente sia vittima di misure sufficientemente gravi, per natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani”. Insomma, il fatto che non essere eterosessuale sia paragonato al rubare, ovvero a un reato, ancora non basta a ricevere asilo in Europa.
Nonostante i legittimi interrogativi su come uno stato nazionale possa concretamente accertare la “persecuzione” subita, il parere del giudice costituisce un interessante precedente per quanti fuggono dal proprio paese di origine per motivi di omofobia. Secondo Amnesty International, in ben 78 paesi al mondo l’omosessualità è considerata un reato e in sette di questi (Arabia Saudita, Iran, Mauritania, Sudan, Yemen e negli stati della federazione della Nigeria che applicano la sharia e nelle zone meridionali della Somalia) i rapporti fra persone dello stesso sesso sono puniti con la pena di morte. Nel suo rapporto annuale 2013, l’associazione denuncia violazioni dei diritti umani, aggressioni, intimidazioni e discriminazioni nei confronti di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate (Lgbti) in più di 40 paesi (Albania, Armenia, Bahamas, Bielorussia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Camerun, Cile, Croazia, Danimarca, Fiji, Gambia, Georgia, Ghana, Grecia, Guyana, Iran, Iraq, Italia, Giamaica, Lettonia, Libano, Liberia, Lituania, Macedonia, Malawi, Moldova, Montenegro, Nigeria, Russia, Serbia, Sudafrica, Taiwan, Trinidad e Tobago, Tunisia, Turchia, Ucraina, Uganda, Ungheria, Uruguay, Zimbabwe).
L’Italia figura in questo triste elenco. “Ci vuole quanto prima una legge che colmi finalmente le lacune nell’ordinamento italiano sull’omofobia e la transfobia. Ogni provvedimento che va nella direzione di una maggior protezione dei diritti sociali va adottato al più presto, non ci devono essere eccezioni”, ha detto Riccardo Noury, portavoce Amnesty Italia. “Per quanto riguarda la situazione dei richiedenti asilo per motivi di discriminazione sessuale, ci auguriamo che la sentenza della Corte di Giustizia confermi il parere preventivo del giudice”. In teoria le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte, ma sicuramente tracciano la direzione verso la quale si orienterà la sentenza. Il passo successivo sarà vedere come i vari paesi Ue discerneranno tra “semplice reato” e “vera persecuzione”.
@AlessioPisano