“Ideologia della crisi” è una parte del sottotitolo de Dalla tragedia alla farsa, di quel filosofo fuori dagli schemi che è Slavoj Žižek. La seconda parte di quel sottotitolo è – non a caso – “…e superamento del capitalismo”.
Gli strumenti messi in campo dal pensatore di Lubiana sono – come si può intuire – quelli della critica ideologica, disciplina del pensiero verso cui nutriamo una profonda devozione. La ricerca critica va a scovare gli snodi strutturali attraverso cui si compie la certosina costruzione della cultura del capitalismo, gli anfratti del comportamento e delle idee che sorreggono quest’ultimo, tallonando incessantemente tutte le agenzie di produzione culturale in gioco: la scienza e il suo sapere, la scuola, la televisione, la carta stampata, le istituzioni del welfare, gli ospedali.

Tanto per ribadire la linea di continuità col padre della critica ideologica, Žižek cita Marx in uno dei passi più attuali della Miseria della filosofia: “Gli economisti hanno un singolare modo di procedere. Per loro non ci sono che due tipi di istituzioni, quelle artificiali e quelle naturali. Le istituzioni del feudalesimo sono istituzioni artificiali, quelle della borghesia sono istituzioni naturali. In questo rassomigliano ai teologi, che stabiliscono, essi pure, due tipi di religioni. Qualsiasi religione che non sia la loro è una invenzione degli uomini, mentre la loro religione è un’emanazione di Dio.”

Nel suo recente Televisione, Carlo Freccero ricorda le implacabili critiche che Popper rivolgeva al medium televisivo, colpevole di fare della violenza delle immagini una sorta di sostanza  capace di creare dipendenza nello spettatore; o quelle di Bobbio, secondo il quale la televisione è un mezzo naturaliter di destra, con la sua predilezione per l’audience e dunque per la supremazia della maggioranza!

Lo scenario è tutto davanti ai nostri occhi: la televisione, che è divenuta la principale agenzia di produzione culturale, spaccia quotidianamente le vicende dei mercati per processi ‘naturali’, e dunque inalienabili e immodificabili, attraverso un complesso meccanismo linguistico – tipico del mezzo – che amplifica la portata dell’operazione. Nessuno mai spiega, tutto è apodittico, una sorta di a-priori dell’economia che non necessita di alcuna contestualizzazione o  specificazione.

Da quando il debito pubblico degli Stati è stato consegnato ai mercati, che sono – non dimentichiamolo – abitati da operatori della finanza totalmente asserviti agli interessi di un’oligarchia  imperante, il destino di ognuno di noi è divenuto il destino del nostro debito. Ancora una volta, sempre di più, occorre allertare il pensiero critico, che – è evidente – non può mai prendersi una vacanza.

di Sandro Vero

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