Cronaca

Reggio Calabria, catturato il boss latitante della ‘ndrangheta Pietro Labate

L'uomo, 62 anni, era latitante dall'aprile del 2011, quando era riuscito a sfuggire alla cattura della polizia durante l'operazione “Archi”. Capo dell’omonima cosca egemone nel quartiere Gebbione del capoluogo reggino, soprannominato "Ti mangio", ha tentato di scappare al momento dell'arresto

Si muoveva liberamente a Gebbione, nel suo quartiere di Reggio Calabria dove da decenni è ritenuto il boss incontrastato. La squadra mobile del capoluogo reggino è entrata nel regno dei “Ti mangio” e lo ha trovato lì a scorrazzare a bordo di uno scooter. Il latitante Pietro Labate si sentiva protetto e sicuro che, la sua “gente” non lo avrebbe tradito. Così è stato ma le indagini della polizia di Stato già da qualche giorno tenevano sotto controllo quello che poteva essere il suo rifugio. Alle 22. 30 di ieri sera la svolta: il boss, disarmato, mentre stava rientrando nel covo, ha notato gli agenti e ha tentato una disperata fuga.

La squadra mobile, guidata da Gennaro Semeraro, lo ha bloccato e ammanettato. É stata inoltre perquisita l’abitazione in cui si nascondeva e dove la polizia ha rinvenuto materiale che può essere utile a ricostruire la rete di fiancheggiatori del boss che, qualche anno fa, è uscito dal carcere dopo aver scontato una lunga pena al 41 bis. Latitante dall’aprile 2011, Pietro Labate (inserito nell’elenco dei 30 ricercati più pericolosi d’Italia) era riuscito a sfuggire alla cattura nel corso dell’operazione “Archi” nell’ambito della quale erano stati tratti in arresto dalla squadra mobile capi e gregari delle cosche Tegano e Labate. Un’inchiesta che ha già portato, in primo grado, alla condanna del capocosca a 20 anni di reclusione. Proprio in seguito a quella sentenza, nei mesi scorsi, la squadra mobile aveva intercettato una telefonata tra le sorelle del boss in cui si parlava di un’attentato ai danni del sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.

I Labate, conosciuti con il soprannome dei “Ti mangio” sono i padroni del quartiere Gebbione, nella periferia sud di Reggio Calabria dove controllano gran parte delle attività commerciali e dove la pressione della ‘ndrangheta è talmente forte che anche gli altri boss, prima di entrare, devono chiedere il permesso

“È l’ennesimo passo in avanti nel contrasto alla ‘ndrangheta. – ha affermato il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho – Il controllo della legalità si esercita evitando che ci siano latitanti. L’arresto è avvenuto a Gebbione, territorio dei Labate ed è stato reso possibile grazie al lavoro della squadra mobile e del questore Guido Longo. Quella dei ‘Ti mangio’ è una delle cosche che riesce a controllare meglio il suo territorio ecco perché assume particolare importanza l’arresto. La polizia gli è saltata addosso mentre si trovava in strada e questo significa che i latitanti, qui in Calabria, continuano a stare nel loro territorio perché sono protetti da quella parte della popolazione che li favorisce”.

“È stato un duro lavoro – ha aggiunto il capo della mobile, Gennaro Semeraro – che si è protratto per oltre un anno con attività tecniche. Da tempo stavamo addosso a Labate. Non abbiamo fatto il minimo errore che avrebbe potuto compromettere l’intera indagine”.

La cattura del boss Pietro Labate arriva a una settimana dall’operazione che ha portato all’arresto del fratello Michele e di due imprenditori, Pasquale e Gianni Remo, (uno dei quali vicepresidente della Reggina Calcio) che gestiscono il mercato della carne nella città dello Stretto. Un’inchiesta che, assieme ad altre in corso, sta scardinando la “zona grigia” di Reggio Calabria composta da personaggi ambigui che siedono allo stesso tavolo della politica e della ‘ndrangheta. E a questo proposito, il procuratore Cafiero De Raho è stato chiaro: “Il cerchio si è appena aperto, deve ancora fare 360 gradi e, prima di chiudersi, tante persone devono fare i conti con la giustizia”.