Quello che ha detto Calderoli ci riporta a qualche secolo fa, quando il bianco era il colore “originale” dell’uomo e che tutto il resto era risultato di “degenerazione”.
Nel ‘700 e ‘800 si parlava molto del “buon selvaggio”, di classifiche basate su criteri fisici. Così Linné in “Systema naturæ” (1758) metteva l’homo europaeus -l’uomo bianco– in cima alla sua classifica, mentre collocava in fondo l’homo afer, cioè il negro.
Ci furono vari “incontri ravvicinati” tra i nostri “scienziati” e i grandi primati, come il caso dello scimpanzé di Londra, prelevato in Angola nel 1699 e battezzato “pigmeo” dai nostri eroi.
Nella scia della teoria dell’ “homme sylvestre” fu allora deciso che l’ORANGO (“meta-uomo, meta-scimmia”) era il pezzo mancante tra noi e i primati. In seguito fu il momento della scala razziale di Charles Bonnet, poi quella di Jean-Baptiste-René Robinet dove il NEGRO si collocava sempre in fondo alla classifica, appena sopra l’orango che era lui considerato “il più evoluto nel regno animale, di pochissimo inferiore al negro“.
Certamente Calderoli sa queste cose e credo non sia un caso che abbia citato l’orango. Ora dice cose oscene per difendersi (“mi piacciono gli animali”) e vorrebbe che la sua sia stata “solo una battuta da comizio”, mentre è andato a frullare nelle radici della xenofobia, del razzismo e antisemitismo.
Oggi è un triste anniversario: il 15 luglio 1938 venne pubblicato “Il fascismo e i problemi della razza”, manifesto degli scienziati italiani razzisti impegnati a fornire una base scientifica per le teorie razziste in relazione alle leggi razziali fasciste.
Sarebbe oggi un bel giorno per raccogliere le dimissioni di Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato della repubblica italiana.