Partiamo dai numeri. Il Victoria and Albert Museum con “David Bowie is” ha frantumato ogni record personale, vendendo soltanto in prevendita 50.000 biglietti. I curatori Geoffrey Marsh e Victoria Broacker hanno selezionato dall’archivio personale del cantante oltre 300 oggetti: dai vestiti alle scarpe passando per la collezione di vinili nonché di quadri. Si diceva “oggetti”, in verità siamo dinanzi a veri e propri totem evocativi di una carriera scintillante, la cui storia testimonia quanto talento e arte possano nobilitare l’essenza stessa della vita.
Continuiamo però con i numeri. David Bowie dal 1967 ad oggi ha prodotto ventisette album in studio, sedici tour, ha venduto centoquaranta milioni di dischi e recitato in venti pellicole. Nel 2013 è clamorosamente tornato, dopo dieci anni di silenzio, con l’uscita di «The Next Day» (un grande ritorno sebbene, per il sottoscritto, il disco sia lungo, quattro/cinque pezzi in meno e staremmo a gridare al capolavoro). Dopo quanto affermato, chiedersi a quali altri cantanti viventi – se non a David Bowie – potrebbe essere dedicata una mostra antologica è come minimo lecito.
Sebbene il rischio sia quello di ripetersi, è giusto ricordare quanto l’artista, nel corso degli ultimi quarant’anni, abbia anticipato costantemente mode e tendenze; epigoni più o meno dichiarati ne hanno fotocopiato il tratto, illustri colleghi riprodotto il segno; Bowie è sempre stato un passo avanti agli altri, e l’esposizione in corso ne è un’ulteriore dimostrazione.
Dobbiamo quindi aspettarci nel prossimo futuro una sequela di retrospettive in fotocopia? Immaginare Mick Jagger sbattere i pugni negli uffici che contano per ottenere i medesimi onori, oppure pensare a Paul McCartney rovistare nei cassetti per cercare “certe giacche in pelle” non è da escludere. Per non parlare di Bono Vox… starà facendo il diavolo a quattro affinché Dublino possa dedicare in onore ai suoi U2 una retrospettiva sui generis.
Concentriamoci ora sulla mostra, la quale celebra diverse incarnazioni del performer: cantante, attore, mimo, pittore, regista e chi più ne ha più ne metta! Entrare nei meandri infiniti del mito emoziona, l’esposizione si traduce, infatti, in un viaggio che non lascia scampo; incappare nell’abito d’ordinanza con cui «il nostro» diede vita al personaggio di Ziggy Stardust scuote nel profondo, immaginarlo poi, dentro la mise di “Ashes to Ashes” stordisce, almeno quanto pensarlo nei panni ricercati del Duca Bianco esposti più in là.
Sessanta gli abiti concessi per l’allestimento, ognuno di essi ricorda che in fondo David Bowie ha mostrato, per primo (ma toh!), che ognuno di noi – a questo mondo può essere ciò che vuole. Viatico ideale per introdursi nelle atmosfere cangianti a lui connesse sono le cuffie concepite appositamente da Sennheiser (sponsor ufficiale con Gucci), le quali, mediante un sistema integrato, si attivano avvicinandosi semplicemente alle opere esposte. A scandire il percorso, sono invero le canzoni, le interviste, altresì i pensieri in libertà che hanno ispirato la star.
Ma la devozione si fa unica e assoluta nello scorgere i testi scritti di suo pugno ovvero parole vibranti, scolpite nell’immaginario comune: vere e proprie testimonianze di come i sogni possano sostenere giorno dopo giorno la cruda realtà. Allontanarsi di qualche metro significa imbattersi nella stanza in cui ad esser mostrata è la seconda vita dell’artista; i quadri, le foto – rigorosamente in bianco e nero – riconducono agli anni in cui Berlino divenne il rifugio nel quale rinascere: una resurrezione avvenuta nel 1976 e celebrata nell’arco di tre anni. La cosiddetta trilogia rimane ancora oggi – per il sottoscritto – l’atto supremo dell’intera carriera.
Spazio anche al Bowie attore: un anfratto abilmente ricavato proietta in rapida sequenza alcuni spezzoni di film da lui interpretati, da «Labyrinth» a «The Hunger» passando per «Furyo» fino al più recente «The Prestige». L’apoteosi si rivela però sul finire del percorso, l’epicentro dell’esposizione coincide con la maestosità della sala in cui vengono proiettati a 360° spezzoni live (clamoroso quello all’Hammersmith di Londra nel ’72) opportunamente alternati a manichini con abiti di scena. Le lacrime dei presenti restano un surplus indimenticabile a corredo della spettacolare scenografia magistralmente concepita dai designer della «59 Productions e Real Studios».
Che altro aggiungere? I curatori dell’esposizione hanno dichiarato che Bowie per ora non ha accolto l’invito “a mostrarsi personalmente”. Affermano anche di essere convinti che entro il giorno di chiusura (11 agosto) lo farà! “Quel giorno – continuano – entrerà da quella porta come una persona qualunque e dopo aver fatto memoria, sparirà nel riserbo più assoluto”.
Se andate a vedere la mostra, guardatevi intorno.
9 canzoni 9 … per (non) essere epigoni
Lato A
All Night Long • Peter Murphy
I Have Forgiven Jesus • Morrissey
The Stars We Are • Marc Almond
Fly Pianeta Fly • Ivan Cattaneo
Lato B
Cold Song • Klaus Nomi
Cars • Gary Numan
In Your Eyes • Edwin Collins & the Drums
I Never Said I Was Deep • Jarvish Cocker
Broken love Song • Pete Doherty