“Davvero in quel momento mi sembrò di essere altrove, di avere raggiunto la meta del mio viaggio. 
Da lì non volevo più andarmene, ci ero già stato centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato, ed ecco che ora tutto ritornava in me. Trovavo nella piazza l’ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso. Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza”. Così, qualche decennio fa, lo scrittore Elias Canetti raccontava piazza Jemaa El Fna di Marrakech. La sensazione di “sentirsi a casa”, di aver trovato il proprio posto nel mondo, non è fortuna da poco. Olga Piscitelli, giornalista italiana di 45 anni, ha scelto il Marocco. Una passione nata negli anni, arricchita da tanti viaggi. Poi, complice un contratto di lavoro non rinnovato, la decisione di lasciare l’Italia.

“Sono partita il 12 dicembre, data della prima chiamata dei Maya per la fine del mondo”, ama ricordare. “E’ iniziato tutto per caso. Ad ottobre ho fatto un bellissimo viaggio con quattro amiche. Ci occupiamo tutte di cose diverse, e accordarsi non è stato facile: per esempio, l’architetto voleva visitare i famosi castelli di sabbia nel deserto, l’artista voleva scoprire come fanno le tessere dei mosaici a Fez. Io sono appassionata di ricamo, e mi sarebbe piaciuto un viaggio ad hoc sulla broderie marocaine. Per soddisfare tutte le nostre esigenze ho preso contatto con un tour operator, un ragazzo del sud del paese che con estrema pazienza ci ha accompagnato. Alla fine del viaggio mi ha regalato il suo turbante, nominato scherzosamente guida del Marocco e proposto di lavorare con lui e il fratello”. Olga ringrazia, saluta e torna a casa: “L’ho presa sul ridere, del resto volevano anche regalarmi tre cammelli – confessa – quindi non pensavo fosse un’idea seria”.

Quando il destino ci si mette, però, Olga finisce per inciamparci. E concluso il contratto di lavoro, le viene un’idea: mettere in uso le tante pagine di appunti di viaggio che ha sempre tenuto “per deformazione professionale – racconta – perché non riesco a fare a meno di scrivere”. Un buon modo per trasformare la sua attitudine in lavoro. “Costruisco viaggi su misura. Non sono un tour operator, sia chiaro. Lavoro con Aziz e suo fratello, i ragazzi che ci hanno accompagnato nel viaggio ad ottobre. Quello che faccio io, senza impormi e nel totale rispetto delle bravissime guide locali, è chiedere di cambiare parte dell’itinerario facendo deviazioni che assecondino gli interessi dei clienti”. Una scommessa partita da zero. “Ho iniziato con gli amici, poi gli amici degli amici. Abbiamo creato il sito Oro del deserto, e vedo che con il passaparola iniziano ad arrivarci richieste e prenotazioni dall’Italia”. Il programma di Olga è di rimanere almeno un paio d’anni in Marocco per avviare l’impresa e, nel frattempo, pensare a nuovi progetti: “Intanto vado in giro con il mio quadernetto, prendo nota delle parole di arabo che imparo e scrivo impressioni, idee e cose che mi vengono in mente. Poi si vedrà”.

Così è iniziato un nuovo capitolo della sua vita, nato da una scelta d’amore: “Non me ne sono andata per disperazione. Sono giornalista da più di vent’anni, ho fatto tutto quello che potevo fare, mettendomi alla prova su agenzie di stampa, quotidiani, settimanali, periodici, come freelance e in redazione. Sono sempre rimasta nel mondo del precariato giornalistico di prima classe, e avrei continuato a lavorare se non fossi partita. A novembre, però, mi son detta: ma guarda se bisogna continuare a fare ‘sta vita da questuanti di lavoro”. Qualcosa è cambiato e Olga resta lì, in un luogo di cui parla con l’incanto dei bambini. “So che è strano da dire, ma qui ho ritrovato gli odori e i gusti della mia infanzia. Assaggio un dolce al miele, di cui sono ghiotta, ed è uguale a quelli che faceva mia nonna. Io sono di origini calabro-svizzere, e in Calabria, così come in Sicilia, sono forti le influenze arabe in cucina. La mattina ti svegli, dalla finestra vedi palme e muri rosa, e ti cambia già l’umore. Esci, e c’è sempre qualcuno disposto ad arrampicarsi su una palma e tirarti giù un ramo di datteri squisiti. È un paese che si vive on the road: si mangia, si vive e ci si incontra in strada. Hanno la naturale vocazione alle relazioni sociali, all’apertura, al contatto. Io parlo anche con le pietre, quindi direi che sono nel posto giusto. Sono a casa”.

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