L'accesso alla "lista bianca" che raccoglie aziende non a rischio infiltrazione mafiosa è necessario per lavorare nel pubblico e privato. L'associazione costruttori: "Complica e dilata i tempi. Blocca la rinascita, bisogna intervenire"
Avrebbe dovuto essere uno strumento di controllo necessario a proteggere la ricostruzione post sisma dalle infiltrazioni mafiose. Invece, a causa di una burocrazia che “dilata i tempi e complica le procedure”, il meccanismo delle white list si sta trasformando in una “strozzatura”. E a Modena, la provincia più colpita dai terremoti che a maggio 2012 devastarono l’Emilia, centinaia di aziende rischiano di chiudere. Solo un centinaio sono le domande ammesse, secondo i dati forniti dall’Ance, l’associazione nazionale costruttori edili, su oltre 3000 aziende che hanno presentato domanda in prefettura per ottenere l’iscrizione agli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, (elenchi introdotti con il decreto legge 174/2012 per stabilire chi può accedere alle gare d’appalto pubbliche e private nei territori interessati da eventi calamitosi e chi no). E solo un centinaio, quindi, sono le imprese che possono lavorare sia nel settore pubblico, sia nel settore privato. Perché anche chi ha ottenuto l’iscrizione provvisoria, sempre più spesso, “non riesce a trovare lavoro”.
Il problema, spiega Stefano Betti, presidente di Ance Modena, “è che, sebbene la normativa preveda, sia per i committenti pubblici sia per quelli privati, di poter affidare lavori alle imprese che si trovano anche semplicemente nella ‘white list di attesa’, nel caso degli appalti privati si sta verificando l’esclusione di aziende dalle gare per il fatto che non sono in possesso della ‘white list’ definitiva. Solo che ottenere l’iscrizione richiede tempi lunghissimi, ci sono aziende che hanno presentato domanda a novembre e a oggi non hanno ancora ottenuto risposta”.
E rimanere esclusi dalle gare d’appalto private, adesso che la ricostruzione è ancora agli albori – in molti comuni sono ancora in corso le opere provvisionali e si parlerà di opere pubbliche solo più avanti – significa non trovare da lavorare. “Significa non avere il denaro per pagare le fatture, e quindi, rischiare di chiudere” spiega Betti.
“Ance da sempre ha sostenuto la validità della white list per contrastare le infiltrazioni mafiose – ricorda il presidente dell’associazione costruttori edili – ma la situazione che si è creata a Modena in questi ultimi mesi dimostra che, quantomeno, deve essere rivista seriamente la sua applicazione”. La prefettura locale, infatti, è oberata di domande, tanto “che ci vorranno almeno vent’anni per evaderle tutte”, e senza personale aggiuntivo da impiegare nei controlli necessari a verificare le aziende che presentano istanza di iscrizione, “il numero delle aziende in attesa, e quindi senza lavoro, non potrà che aumentare”.
“Addirittura – continua Betti – riceviamo segnalazioni relative ad amministrazioni comunali che rallenterebbero il rilascio delle necessarie autorizzazioni alla ricostruzione nel caso di lavori privati affidati a imprese non iscritte alla lista definitiva. Queste scelte ingiustificate sono frutto, da una parte, del timore dei problemi che potrebbero verificarsi nel caso all’impresa appaltatrice venisse negata l’iscrizione e, dall’altra, dal clamore suscitato dall’esclusione dalla white list di importanti aziende modenesi del settore edile”.
Ma questo, spiega Rudi Accorsi, sindaco di San Possidonio, non può che penalizzare le imprese inserite nel tessuto produttivo locale, quello prima soggetto alla crisi economica e poi al terremoto. Perché mentre nel modenese le imprese attendono l’iscrizione alla white list, le aziende appartenenti ad altre provincie meno danneggiate, dove le prefetture hanno un numero inferiore di domande da analizzare e l’informativa antimafia viene rilasciata più velocemente, lavorano. “Sono – conferma Ance – avvantaggiate nell’ottenere commesse private, mentre le nostre aziende stanno ancora aspettando: è un autentico effetto distorsivo della leale concorrenza”.
E la conferma viene dai dati della Cassa Edili di Modena. Nel primo trimestre dell’anno in corso si è registrato un modesto accenno di ripresa dell’attività del settore edile e, contemporaneamente, anche un incremento del 40% del ricorso alla cassa integrazione per le aziende edili modenesi. “A lavorare quindi sono perlopiù le aziende di fuori provincia”.
“La situazione è complessa – sottolinea Accorsi – la trasparenza e la legalità sono elementi importanti a cui non si può rinunciare, tuttavia per l’Emilia terremotata la priorità è riattivare il tessuto produttivo locale. E’ necessario che anche le aziende del nostro territorio possano accedere alla ricostruzione, altrimenti rischiano di fallire e l’economia non può ripartire”. A San Possidonio, per esempio, sono ancora in corso le opere provvisionali e di lavori pubblici si riparlerà solo tra qualche mese. Per il momento, quindi, la maggior parte dei cantieri riguarda il privato: aziende e abitazioni. “E’ chiaro che se le imprese modenesi vengono escluse dalle gare d’appalto le ripercussioni saranno gravissime, sia a livello occupazionale, sia di indotto”. “Questa situazione va superata – conclude Betti – molte aziende contano sulla ricostruzione per tirare avanti e bisogna consentire loro di lavorare. Perché specie per quanto riguarda le realtà di piccole e medie dimensioni, non si può chiedere loro di sopravvivere sia alla crisi, sia al terremoto, sia alla burocrazia”.