Mai si era visto Silvio Berlusconi fare da scudo umano ad Alfano. Mai lo si era sentito usare un tale fiume di elogi – «giovane, valente, attivo, generoso» – per difendere Angelino. «Uno che fa bene tutto e continuerà a far bene tutto», dice il Cavaliere al “Corriere”. Uno di cui «ho grande stima». Uno «che non si tocca». Uno che «Sono stato chiaro quando ho detto che Alfano non si tocca?».

Mai si era visto un alto dirigente come Giuseppe Procaccini, il capo di Gabinetto del Viminale che ieri si è dimesso, rifiutare il ruolo di capro espiatorio e contraddire la verità ufficiale raccontata dal “suo” ministro dicendo in pubblico, con più interviste: «Io lo avevo avvertito»,

Mai si era visto, e ciò rafforza il sospetto che l’affaire Ablyazov sia una storia molto diversa dalle ordinarie, opache vicende che si sono mosse ai margini della nostra limitata sovranità nazionale. Non c’entra con i molti precedenti evocati dai giornali, non c’entra con Abu Omar o con Abu Abbas, non c’entra con niente visto finora.

I nostri apparati si sono sempre inchinati a una malintesa idea di ragion di Stato. Hanno accettato condanne (Ustica), processi (trattativa Stato-mafia), licenziamenti (caso Kappler), perfino il carcere (Contrada) senza dire una parola. I vertici dei partiti si sono sempre tenuti alla larga dai ministri lambiti da questo tipo di scandali. E Berlusconi, in particolare, almeno un paio di volte ha abbandonato Scajola al suo destino limitandosi a blande difese d’ufficio. Perché cambia lo schema? Perché, all’improvviso, c’è un funzionario che non ci sta e un leader che si sbraccia per dare copertura al Viminale e rendere pubblica la sua opinione?

So che la dietrologia non va più di moda, ma la risposta logica è una sola. Che dietro al caso di Alma e di sua figlia non ci sia il vecchio feticcio dell’interesse nazionale “all’italiana”, ma motivi più piccini che la stessa burocrazia non ritiene meritevoli del sacrificio del silenzio, e che il Cavaliere ne sia abbastanza spaventato per tornare in campo dopo un lungo silenzio. Vedremo. La falla è aperta, la ragion di Stato è disconosciuta dai suoi stessi custodi. E stavolta, forse, gli equilibrismi delle larghe intese non riusciranno a metterci una pezza.

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