Correva ieri l’altro l’anniversario della nascita di Rembrandt ‒ per cui, tanto per cominciare, perdonate il ritardo. In ogni caso, prenderei l’occasione a mo’ di pretesto, per dare l’abbrivio a una sorta di rubrica (poniamo mensile) che si eserciti di volta in volta nel commento a una specifica opera d’arte (esondando semmai pure ai suoi ‘dintorni’). Evitando troppe petulanze enciclopediche, e così i garbugli del criticismo capriccioso, vorrei proporre approccio più confidenziale, attento cioè alla percezione immediata, che preferisca l’accostamento eretico ‒ ed estetico ‒ al mero resoconto storiografico. Non mi preoccuperò, per intenderci, di smentire la congettura per la quale Il cavaliere polacco della Frick Collection newyorchese sarebbe invero il capo di una setta religiosa prossima ai Mennoniti. Ed eviterò altrettanto i pur pertinenti richiami al secolo d’oro, il miracolo del Seicento olandese scandagliato con perizia da Huizinga.
Ma perché scegliere proprio Il cavaliere? Cominciamo con una rivendicazione d’arbitrio: perché mi pare magnifico. Opinione ben difficile da argomentare, che però ha forse i suoi moventi. Comincerei col trascurare metodicamente il cavaliere ‒ elemento meno seducente ‒ per soffermarmi sull’animale e sullo sfondo. Le striature biancastre sugli arti, che s’annodano ai carpi ed ai garretti ‒ per rimontare poi ai muscoli del muso ‒ fanno del cavallo un quasi-spettro, mesmerica radiografia pittorica di una creatura che pare eccedere la propria incarnazione sensoriale. Potremmo dirlo un magnete equestre, delineato con gesto espressionista secondo un espediente, quello appunto della striatura opalescente a rimarcare i tendini compositivi in figura, che ritroviamo ampiamente nel Greco e che verrà ereditato dai moderni, a cominciare da Sargent ma ‒ soprattutto ‒ Oskar Kokoschka.
Così transustanziato, il cavallo sembra preludere a un evento ulteriore, che solo lui conosce, come se, per insondabile destino, già presagisse un’incombente sciagura. Tornano alla mente le pagine, maestose, de La palude definitiva, dove Giorgio Manganelli descrive il suo accompagnatore, il cavallo ‘psicopompo’ che lo condurrà nella landa estrema, “torbidamente viva”, che è “distesa di liquida esistenza”: il pianeta sensibile e mentale che ha in ostaggio il pensiero e le sue forme. “Mi chiedo se non sia il cavallo dell’apocalisse, e se io stesso, ignaro, non sia il cavaliere della morte finale, dunque non immune alla potenza atroce di un dio, e un dio della conclusione”. O della consumazione, come si direbbe dal putrefarsi del paesaggio, limo infernale e quasi magma, su cui si libra il soggetto della scena.
Ne Il colpo di grazia Marguerite Yourcenar, notoriamente versata per le alchimie dissolutive, si confronta con il dramma del dipinto: «Quando penso a quegli ultimi giorni di vita del mio amico mi vien sempre fatto di evocare un quadro poco conosciuto d Rembrandt che un mattino di noia e di tempesta di neve mi fece scoprire per caso qualche anno dopo alla Galleria Frick di New York, dove mi parve un fantasma munito del cartellino con il numero e inserito nel catalogo. Quel giovane uomo ritto su un cavallo pallido, quel viso insieme sensibile e selvaggio, quel paesaggio desolato dove la bestia allarmata sembra fiutare la disgrazia, e la Morte e la Follia infinitamente più presenti che nella vecchia incisione tedesca se per sentirle vicinissime non si ha nemmeno bisogno del loro simbolo…».
Ancora una volta ci si sofferma sul fondale, impeciato nell’ombra, fosco e modernissimo, come una coltre d’argilla fumigata, strofinata con trementina e morchia. Potrebbero essere i sedimenti, impastati, di Fautrier o Dubuffet, ma è invece pittura secentesca.
Com’è possibile? È solo questione di punti di vista. Lo spiega egregiamente Didi-Huberman nel suo libro sul Beato Angelico. Figure del dissimile. L’intuizione che lo regge è semplice ma micidiale. Camminando in un corridoio del convento di San Marco a Firenze, Huberman rimase colpito da “due o tre cose sconcertanti dipinte nel Quattrocento”, “cose” inaspettate, di quelle che non ci si aspetterebbe di trovare in un catalogo sull’arte rinascimentale. “Queste due o tre cose sconcertanti, difficili da descrivere e assolutamente peculiari se paragonate al severo candore del convento, erano macchie pittoriche, ampie zone di macchie multicolori rispetto alle quali le nostre abituali categorie di ‘soggetto’, imitazione e figura sembravano essere inadeguate”.
Ecco, per Rembrandt è lo stesso. L’atroce ‘magnetismo’ del Cavaliere polacco non si deve al suo ipotetico contenuto oggettivo, tanto che non sappiamo nemmeno se si tratti effettivamente di un cavaliere polacco. A far breccia, ad irretire lo sguardo è piuttosto l’insondabile potenza dello stile: l’ipnotismo funereo del cavallo, che si staglia su quell’agglomerato di macchie e zolle liquefatte, è tanto poco una collina con fortino quanto la Saint Victoire di Cézanne può essere detta semplicemente una montagna.
Marcello Barison
Filosofo
Cultura - 17 Luglio 2013
Il cavallo di Rembrandt
Ma perché scegliere proprio Il cavaliere? Cominciamo con una rivendicazione d’arbitrio: perché mi pare magnifico. Opinione ben difficile da argomentare, che però ha forse i suoi moventi. Comincerei col trascurare metodicamente il cavaliere ‒ elemento meno seducente ‒ per soffermarmi sull’animale e sullo sfondo. Le striature biancastre sugli arti, che s’annodano ai carpi ed ai garretti ‒ per rimontare poi ai muscoli del muso ‒ fanno del cavallo un quasi-spettro, mesmerica radiografia pittorica di una creatura che pare eccedere la propria incarnazione sensoriale. Potremmo dirlo un magnete equestre, delineato con gesto espressionista secondo un espediente, quello appunto della striatura opalescente a rimarcare i tendini compositivi in figura, che ritroviamo ampiamente nel Greco e che verrà ereditato dai moderni, a cominciare da Sargent ma ‒ soprattutto ‒ Oskar Kokoschka.
Così transustanziato, il cavallo sembra preludere a un evento ulteriore, che solo lui conosce, come se, per insondabile destino, già presagisse un’incombente sciagura. Tornano alla mente le pagine, maestose, de La palude definitiva, dove Giorgio Manganelli descrive il suo accompagnatore, il cavallo ‘psicopompo’ che lo condurrà nella landa estrema, “torbidamente viva”, che è “distesa di liquida esistenza”: il pianeta sensibile e mentale che ha in ostaggio il pensiero e le sue forme. “Mi chiedo se non sia il cavallo dell’apocalisse, e se io stesso, ignaro, non sia il cavaliere della morte finale, dunque non immune alla potenza atroce di un dio, e un dio della conclusione”. O della consumazione, come si direbbe dal putrefarsi del paesaggio, limo infernale e quasi magma, su cui si libra il soggetto della scena.
Ne Il colpo di grazia Marguerite Yourcenar, notoriamente versata per le alchimie dissolutive, si confronta con il dramma del dipinto: «Quando penso a quegli ultimi giorni di vita del mio amico mi vien sempre fatto di evocare un quadro poco conosciuto d Rembrandt che un mattino di noia e di tempesta di neve mi fece scoprire per caso qualche anno dopo alla Galleria Frick di New York, dove mi parve un fantasma munito del cartellino con il numero e inserito nel catalogo. Quel giovane uomo ritto su un cavallo pallido, quel viso insieme sensibile e selvaggio, quel paesaggio desolato dove la bestia allarmata sembra fiutare la disgrazia, e la Morte e la Follia infinitamente più presenti che nella vecchia incisione tedesca se per sentirle vicinissime non si ha nemmeno bisogno del loro simbolo…».
Ancora una volta ci si sofferma sul fondale, impeciato nell’ombra, fosco e modernissimo, come una coltre d’argilla fumigata, strofinata con trementina e morchia. Potrebbero essere i sedimenti, impastati, di Fautrier o Dubuffet, ma è invece pittura secentesca.
Com’è possibile? È solo questione di punti di vista. Lo spiega egregiamente Didi-Huberman nel suo libro sul Beato Angelico. Figure del dissimile. L’intuizione che lo regge è semplice ma micidiale. Camminando in un corridoio del convento di San Marco a Firenze, Huberman rimase colpito da “due o tre cose sconcertanti dipinte nel Quattrocento”, “cose” inaspettate, di quelle che non ci si aspetterebbe di trovare in un catalogo sull’arte rinascimentale. “Queste due o tre cose sconcertanti, difficili da descrivere e assolutamente peculiari se paragonate al severo candore del convento, erano macchie pittoriche, ampie zone di macchie multicolori rispetto alle quali le nostre abituali categorie di ‘soggetto’, imitazione e figura sembravano essere inadeguate”.
Ecco, per Rembrandt è lo stesso. L’atroce ‘magnetismo’ del Cavaliere polacco non si deve al suo ipotetico contenuto oggettivo, tanto che non sappiamo nemmeno se si tratti effettivamente di un cavaliere polacco. A far breccia, ad irretire lo sguardo è piuttosto l’insondabile potenza dello stile: l’ipnotismo funereo del cavallo, che si staglia su quell’agglomerato di macchie e zolle liquefatte, è tanto poco una collina con fortino quanto la Saint Victoire di Cézanne può essere detta semplicemente una montagna.
Articolo Precedente
Elizabeth Strout, il Pulitzer dal lungo respiro
Articolo Successivo
Manoscritti nel cassetto/31: racconti di Marco Freccero
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
FQ Magazine
La passione per il cinema brucia ancora: a Roma riaprirà lo storico “Fiamma”. I curatori Bettini e Giannelli: “Un polo culturale aperto alla città”
Il trapper Medy Cartier rinviato a giudizio con l’accusa di violenza sessuale e pedopornografia. La difesa replica: “Il rapporto tra i due era consenziente”
“Sono cose del passato. Ne ho fatto uso, ma non l’ho mai venduta”: Rita De Crescenzo a processo per traffico di droga e spaccio
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - Non è morta per essere caduta dal balcone, come si era appreso in un primo momento, la donna di 80 anni deceduta all'ospedale di Marsala (Trapani). Lo rendono noto i Carabinieri di Marsala (Trapani). La Procura, diretta da Fernando Asaro, ha emesso un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti del figlio 51enne per il reato di omicidio preterintenzionale, commesso ai danni della madre convivente. "Il provvedimento, eseguito dai Carabinieri della Compagnia di Marsala, scaturisce dalle risultanze delle indagini svolte dai militari dell’Arma e coordinate dalla Procura di Marsala, in ragione del decesso della donna, ricoverata da circa tre giorni presso l’ospedale Paolo Borsellino di Marsala per un asserito avvelenamento da farmaci", spiegano i Carabinieri.
"La ricostruzione dei fatti ha permesso di comprendere che la donna sarebbe morta quale delle gravi lesioni riportate a seguito delle percosse subite dal figlio nei giorni antecedenti dal ricovero- dice l'Arma- Il provvedimento, terminato con la traduzione del 51enne presso il carcere di Trapani, sarà oggetto di convalida dal GIP del Tribunale di Marsala nei prossimi giorni. Le indagini preliminari sono in corso".
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - Una donna è morta precipitando dal balcone di casa. E' successo a Marsala, nel trapanese. I carabinieri hanno fermato il figlio con l'accusa di avere spinto la madre dal balcone, in via Oberdan. L'accusa è di omicidio. Sarà adesso il gip a pronunciarsi sul fermo del figlio. L'inchiesta è coordinata dal Procuratore di Marsala Fernando Asaro.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "C’è una sola parola per le espressioni usate dal Presidente americano nei confronti di Zelensky. Vergogna. Profonda. Totale. Assoluta. Passeranno questi tempi bui, tornerà l’America. Sempre dalla parte dell’Ucraina". Lo scrive il senatore Pd, Filippo Sensi, sui social.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Trump ha detto, tra le altre cose, che Zelensky è un dittatore che ha voluto lui la guerra. Non una parola critica su Putin, che ha pianificato una invasione su larga scala dell’Ucraina libera e democratica, e sul fatto che la sua guerra di invasione totale sia fallita, nonostante la sproporzione delle forze in campo e nonostante gli aiuti militari da parte occidentale siano stati inviati con pesanti restrizioni. Da Trump non una parola di distinzione tra aggredito e aggressore, tra diritto internazionale e arbitrio, tra democrazia e tirannia”. Lo dichiara il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova.
“Ci dovremo abituare al continuo tentativo di Trump di ribaltare la realtà. Ma ciò a cui non possiamo abituarci è il fatto che in Italia ci sia chi plauda alla prepotenza di Trump, condita di retorica antieuropea, anzichè condannarla. Ieri Salvini, oggi Conte. A quanto capisco, fosse per Conte, che non può intestarsi la leadership dell’opposizione, oggi l’intera Ucraina sarebbe una provincia russa, esattamente come lo è diventata la Bielorussia, e Putin sarebbe pronto a schiacciare sotto il suo tallone tirannico altri paesi, anche dell’Unione, in nome della ritorno della grande Russia. Tanto, a noi cosa importa?”, conclude.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - Una parlamentare Pd di lungo corso esce dall'aula esclamando: "Se non ci fosse Nordio, qualcuno lo dovrebbe inventare. Guarda, io voterei no alla mozione di sfiducia martedì...". E poi rivolta ai colleghi: "Ma avete visto le facce di quelli di Fdi? Sono sbiancati". Quello che è successo in aula oggi alla Camera al question time è che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha risposto alla domanda di Pd e Iv sulla quale, ieri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, aveva spiegato che non era possibile rispondere in aula in quanto informazione 'classificata'. Insomma, roba da Copasir. Non da riunione dell'aula, trasmessa in diretta.
Un corto circuito di fronte a cui le opposizioni incalzano parlando di "governo allo sbando", di "situazione fuori controllo". "Ma nelle mani di chi siamo? Siamo nelle mani di nessuno. Ieri con un atto gravissimo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano ha secretato, oggi lei ministro Nordio viene in aula e spiattella tutto. Ma non vi siete parlati?", sbotta in aula Davide Faraone di Iv.
La domanda in questione era se la polizia penitenziaria avesse o meno in uso lo spyware di Paragon. E il ministro Nordio - "a braccio", sottolineano dal Pd - ha risposto che no, "la polizia penitenziaria non ha mai usato quel sistema". Commenta Matteo Renzi: "Oggi Nordio ha messo molto in difficoltà Mantovano: ecco perché Mantovano non voleva che Nordio rispondesse in Aula", scrive sui social. Resta il fatto, aggiunge il leader di Iv, che sono state spiati cittadini - tra cui il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, e Luca Casarini - sono stati "intercettati in modo illegale: chi è stato?", chiede Renzi annunciando di voler andare fino in fondo alla vicenda: "Noi chiederemo accesso agli atti sulle spese per intercettazione di tutte le Procure della Repubblica. E non ci fermiamo".
Elly Schlein chiama in causa la premier Giorgia Meloni che "ormai si è data alla latitanza": dopo la vicenda Almasri, "ora il governo tenta di squagliarsela anche sul caso Paragon". Sottolinea la segretaria del Pd: "Sappiamo che giornalisti e attivisti italiani sono stati spiati con il spyware Graphite, utilizzato esclusivamente da organi dello stato. È preciso dovere del governo fare chiarezza e dirci chi spiava queste persone e per quale motivo. Cosa sta nascondendo il governo Meloni? Il Paese si merita risposte e il luogo dove fornirle è il Parlamento".
Anche Riccardo Magi si rivolge a Meloni: "Sul caso Paragon il Governo è in cortocircuito totale. Ieri le informazioni erano secretate, oggi Nordio cambia idea e risponde. Nel frattempo, resta il mistero totale su chi ha utilizzato lo spyware di Paragon per intercettare persino i giornalisti. Giorgia Meloni non ha più alibi: deve venire con urgenza in Parlamento e spiegare se in questa vicenda c'è un coinvolgimento di apparati dello Stato e quali, eventualmente, quelli coinvolti". Mentre Andrea Orlando fa notare un'altra voce 'mancante': "Perché in tutte queste ore il responsabile della struttura del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha la responsabilità sulla polizia penitenziaria, non ha ancora detto una parola? Immaginiamo che se domani mattina la Polizia di Stato o i Carabinieri avessero intercettato in maniera illegale, o se ci fosse questo sospetto, il Comandante generale dei Carabinieri o il Capo della Polizia direbbero che è vero o che non è vero o che stanno indagando".
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, poi, aggiungono anche un altro tassello. "Abbiamo un sacco di interrogativi e il governo continua a non rispondere. E ci siamo posti anche questa domanda: la sera prima che Casarini" scoprisse lo spyware nel suo telefono, "io ero a cena con Luca Casarini e c'erano anche altri parlamentari della Repubblica: mi hanno osservato? Mi hanno spiato?".
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - Si avvicina l’appuntamento con l’Italian Investment Council by Remind, la piattaforma di dialogo che riunisce istituzioni nazionali, internazionali e Locali, insieme a imprenditori, manager, esperti e professionisti, per affrontare le sfide e cogliere le opportunità di sviluppo per la Nazione. L’incontro, organizzato da Remind (Associazione delle Buone Pratiche dei Settori Produttivi), si terrà il prossimo 25 febbraio a Palazzo Ferrajoli e vedrà la partecipazione di figure di rilievo del panorama istituzionale, economico, industriale con l’obiettivo di delineare strategie efficaci per la crescita sostenibile dell’Italia, un’agenda di rilievo per lo sviluppo della Nazione.
L’iniziativa si propone come uno spazio di confronto tra pubblico e privato, volto a promuovere politiche industriali sugli investimenti e a valorizzare le buone pratiche italiane in Europa e nel mondo. L’IIC verrà aperto dai saluti istituzionali di Antonio Tajani, Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, mentre tra i keynote speaker e i relatori attesi figurano Antonella Sberna, Vicepresidente del Parlamento Europeo, Gelsomina Vigliotti, Vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti, Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Maria Teresa Bellucci, Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Vannia Gava, Viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Edoardo Rixi, Lucia Albano Sottosegretario dell’Economia e delle Finanze, Viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Alessandro Morelli, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – DIPE, Nicola Procaccini Parlamentare Europeo, Renato Loiero, Consigliere per le Politiche di Bilancio del Presidente del Consiglio, Paolo Grasso, Capo di Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, Serafino Sorrenti Chief Information Officer Presidenza del Consiglio, Ferruccio Ferranti, Presidente Mediocredito Centrale, Stefano Pontecorvo, Presidente Leonardo e Vincenzo Sanasi d’Arpe, Alessandro Moricca Amministratore Unico Pagopa, Amministratore Delegato Consap, Giuseppe Romano Coordinatore Zes Unica, Simona Camerano Responsabile Scenari Economici Cdp, Virgilio Pomponi Vice Capo di Gabinetto Ministero dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Curcio Commissario Straordinario per la Ricostruzione Emilia Romagna, Toscana e Marche, Lamberto Giannini Prefetto di Roma, Pierluigi Biondi Sindaco l’Aquila, Alessandro Dagnino Assessore all’Economia Regione Sicilia, Marco Nardini Cfo Corporate Service GreenIt, Salvatore Corroppolo Direttore Affari Generali Dipartimento Pnrr del Mase e Don Antonio Coluccia.
Nel corso dell'iniziativa ci sarà un keynote speech di Dario Lo Bosco Presidente Rfi - Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane sull’innovazione e la sostenibilità delle infrastrutture e della mobilità.
I temi in discussione spazieranno dalle politiche europee per la crescita economica, alla sicurezza e difesa come pilastri dello sviluppo territoriale, fino alle nuove sfide legate alla transizione energetica, all’innovazione tecnologica ai trasporti sostenibili. Un elemento centrale dell’Italian Investment Council sarà il rafforzamento della collaborazione tra settore pubblico e privato, fondamentale per sviluppare strategie di investimento efficaci e sostenibili. In questa prospettiva, le buone pratiche dei settori produttivi rappresentano un modello di riferimento per la crescita economica dell’Italia con un focus di approfondimento sugli scenari economici da parte di Marco Daviddi (Ey), le testimonianze imprenditoriali sulla rinascita del mezzogiorno a cura di Fabrizio Marchetti (B21) e Gabriele Scicolone (Artelia Italia) e sull’immobiliare allargato con un intervento di Massimiliano Pierini (Rx Italy) e di Luca Dal Fabbro (Iren).
L’evento vedrà la partecipazione di esperti e leader del mondo imprenditoriale, tra cui, Bruno Rovelli (Blackrock Italia) Ivano Ilardo (Yard Reaas), Paolo Vari (Ideare), Francesco Burrelli (Anaci), Giulio Gravina (Italpol), Massimo Ponzellini (Centro Studi Giuseppe Bono), Emiliano Boschetto (eFm), Marta Borri (Galeotti), Michele Stella (Polis Sgr), Giorgio Pieralli (Zurich Group) che porteranno la loro esperienza su innovazione, competitività e sostenibilità nei rispettivi ambiti. Il dialogo tra istituzioni e imprese consentirà di individuare percorsi condivisi per rendere l’Italia più attrattiva per gli investitori, valorizzando al contempo le eccellenze nazionali.
Sottolineando l’importanza di creare un ambiente favorevole agli investimenti, il presidente di Remind e promotore dell’Italian Investment Council, Paolo Crisafi, ha dichiarato: “L’Italia ha un potenziale straordinario che deve essere tutelato e promosso. Stiamo collaborando, Istituzioni e Settori Produttivi, affinché la nostra Nazione diventi sempre più attrattiva per gli investitori, senza però snaturare la nostra identità economica e culturale. L’obiettivo è coniugare sviluppo e tradizione, facendo leva sulle eccellenze del Made in Italy per rilanciare la nostra economia in un’ottica di crescita sostenibile e duratura.”
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "L'approccio imperiale di Donald Trump al negoziato per la pace in Ucraina - che prevederebbe che il 50% delle risorse e delle infrastrutture di Kiev vada agli Stati Uniti, oltre al diritto di prelazione per l’acquisto di minerali esportabili e per la concessione di tutte le future licenze - pone in secondo piano la libertà e la democrazia per l'Ucraina e con esse l'esigenza di sicurezza dell'Europa intera. A noi pare inaccettabile: stiamo con Kiev per i valori che il Presidente Mattarella ha ricordato e per cui è stato attaccato dal Cremlino”. Lo afferma il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
“Il vicepremier Salvini, invece che occuparsi di treni, ha fatto sapere che sta con l’invasore russo. A questo punto, non sarebbe il caso che Meloni venisse in Parlamento a rendere nota la sua posizione sul piano Trump, aggiornare le Camere sugli ultimi sviluppi, dando vita a un dibattito parlamentare sulla questione ucraina, fondamentale per il futuro dell’Italia e dell’Europa? Almeno daremmo il segnale di essere ancora in una democrazia parlamentare, cosa non scontata nemmeno più in Europa”, conclude Magi.