Del tutto inaspettato
(racconti di Marco Freccero)
Aveva colpito con un pugno un collega di lavoro. Un gesto inspiegabile; era sempre stato un uomo dai gesti controllati, le parole misurate. I titolari del magazzino di ricambi per auto gliene avevano chiesto la ragione.
Lui si era stretto nelle spalle:
– Così. – Era stata la sua risposta.
Non avevano desiderato ficcarlo nei guai: niente denuncia, il collega lo aveva perdonato. Lui aveva firmato le dimissioni e se ne era andato senza battere ciglio, dopo quattro anni che era impiegato lì. Cercò di ricordare se li aveva ringraziati per la delicatezza.
Si parlava della guerra in Afghanistan, e quel tale se ne era uscito che i pacifisti erano tutti vigliacchi. Sapevano solo sventolare bandiere e incasinare le città coi loro cortei.
Avrebbe voluto replicare mentre quello sputava sentenze, metterlo al suo posto una buona volta; ma non sapeva cosa dire. Le idee e le parole si erano dissolte, lo avevano lasciato vuoto come un guscio di noce. Eppure una volta non era così: Bruno Ferrari aveva sempre qualcosa da dire, di intelligente.
Gli si era avvicinato e lo aveva colpito alla pancia. Era successo di sabato mattina; adesso, se sollevava qualcosa di pesante, gli doleva il polso della mano destra.
Alla moglie aveva raccontato di essere in ferie: tre settimane. Gliene restava ancora una per rivelarle la verità. Lei si era stupita di quella notizia, perché era giugno, e di solito le ferie erano a settembre. Lui aveva spiegato che c’era la crisi, il lavoro stava precipitando; per questo i capi lo avevano spedito in vacanza prima del tempo.
Quel giorno Bruno si alzò di buon mattino, scese dal panettiere all’angolo a comprare un paio di bottiglie di chinotto, il pane e la focaccia. Quando rientrò, la moglie si era alzata e armeggiava ai fornelli.
Lui disse:
– Lascia perdere tutto. Oggi si cambia. Siediti e mangia la focaccia, è ancora calda.
Lei l’osservò con una mano sui fianchi un po’ larghi, accanto ai fornelli su cui c’era una pentola di terracotta pronta a cuocere il sugo di carne. Domandò:
– Cosa è successo?
– Niente. Questo è il punto. Due settimane di ferie e non è successo niente. Facciamolo succedere. Fai solo il caffè.
Mangiarono la focaccia calda, bevvero il chinotto freddo, ingollarono il caffè bollente.
Lui disse:
– Andiamo a fare un giro in macchina. Senza meta. Quando ci verrà fame ci fermeremo da qualche parte.
Lei rise, chiese se facesse sul serio. Lui confermò che era serissimo, non lo era mai stato come in quel momento.
Allora disse di lasciarle dieci minuti perché per prudenza un po’ di pane era meglio portarselo. Dal frigo prese del prosciutto cotto, da un cassetto un paio di coltelli, i tovaglioli di carta, qualche bicchiere di plastica, e riempì di acqua due bottiglie da un litro.
Lui gironzolava per la cucina, le mani in tasca, borbottava, crollava il capo, guardava in continuazione l’orologio. Infine disse:
– Ti aspetto giù in macchina.
Caterina si era spostata nella dispensa; gli rispose ma la sua voce arrivò incomprensibile. Recuperò la borsa frigo, dal freezer le mattonelle di plastica e le inserì nelle tasche interne, vi aggiunse le bottiglie, il pane avvolto nella carta stagnola, e tutto il resto. Tirò la chiusura lampo e riconobbe il clacson della loro automobile, premuto tre volte. Si affacciò dal balcone di via Grassi, agitò la mano per far intendere che aveva sentito. Lui era appoggiato alla portiera dell’auto, le mani incrociate sul petto, la testa rivolta verso il fondo della via. Era sovrappeso pensò, e non aveva nemmeno trentasette anni. Su un taccuino che teneva in un cassetto della cucina scrisse: “Controllo medico”, strappò il foglio, lo appoggiò alla piccola lavagna a muro e ci mise sopra la calamita.
Chiuse il gas, le finestre, la porta blindata, e scese le due rampe di scale che la separavano dal marciapiede. Sorrideva; erano sposati da quattordici anni, senza figli e in quel momento si sentiva percorsa da un’allegria di cui provava quasi imbarazzo. Non appena sbucò sulla via, si fermò, respirò e alzò il capo al cielo limpido e senza nuvole. Chiuse gli occhi, li riaprì, si avvicinò al marito che stava ancora appoggiato all’auto.
– Sono pronta – disse.
– Allora andiamo, ma lì c’è roba per una settimana.
Lui alzò il portellone posteriore e sistemò la borsa frigo accanto al cartone che conteneva l’olio del motore, il refrigerante, i panni per pulire i vetri. Prima di mettere in moto, accese il cellulare e lo mise in carica nella presa dell’accendi-sigari.
– Il tuo lascialo spento – Le diede un bacio sulla guancia, lei arrossì appena, non sapeva dire ilmotivo; forse perché quel giorno era del tutto inaspettato. Lui la prese per il mento e la voltò verso di sé; vide i suoi occhi dilatarsi nell’attesa. La baciò sulle labbra, a lungo, senza fretta; sapevano ancora di caffè.
Si allacciò la cintura di sicurezza, mise in moto e imboccò l’Aurelia, verso est.
Erano le otto. Il traffico in direzione della città era bloccato a causa dei pullman diretti in porto; all’alba la nave da crociera aveva attraccato alla banchina. Lei fece scorrere lo sguardo lungo la fiancata bianca, osservò i ponti, i fumaioli, le scialuppe di salvataggio. Sospirò.
Disse che era un peccato che alcuni potessero permettersi quasi tutto, mentre loro dovevano stare attenti al centesimo. Lui sentì lo stomaco agitarsi, si passò la lingua sulle labbra. Strinse le mani attorno al volante, disse che per la maggior parte era gente senza cervello, chiedeva prestiti in banca o alle finanziarie per farsi la crociera.
– Poi le bollette le pagano con le foto ricordo. Come no – concluse; crollò il capo.
Sulla Provinciale 334 lei rise, disse che era meraviglioso, e avrebbe desiderato che quella giornata durasse non all’infinito, quello no; ma più a lungo del solito. Rise ancora. Lui la guardò per qualche istante senza rispondere; tornò a osservare la strada. Accese le luci di posizione, lei gliene chiese la ragione. Le spiegò che era obbligatorio fuori dai centri abitati.
– Non ho la patente. L’auto, il codice della strada, sono faccende da uomini – Dopo una pausa aggiunse:
– Tutta quella roba di motori e revisioni e esami mi fa venire il mal di testa solo a pensarci.
Caterina osservò il marito: era pallido. Forse era preoccupato.
Chiese:
– Sei in pensiero per il lavoro?
Lui s’irrigidì,annuì.
– Va così male? Pensi che ti lasceranno a casa?
Allora Bruno sospirò a fondo, disse di non avere la risposta per quel genere di domande. Che erano le sue ferie quelle, e al resto avrebbe pensato dopo.
Quarta di copertina
Caterina e Bruno (lui ha perso il lavoro e non l’ha detto alla moglie); Stefano (un imprenditore con l’azienda in fallimento), e la moglie Tiziana. Emanuele e Stefania alle prese con la rabbia causata dal vicino “pazzo e menefreghista”, sono alcune delle coppie che vivono in questi racconti.
Le loro vite sono esposte al lettore come attraverso un vetro, quasi i personaggi fossero pesci rossi che nuotano nell’indolenza di vite sempre uguali. Sono uomini e donne che vivono esperienze tragiche ma, quasi tutti, conservano una visione positiva. Anche nella tragedia che cala all’improvviso, o nella nuova consapevolezza che compare come un imprevisto compagno di viaggio, i protagonisti conservano uno sguardo disincantato e severo sulla realtà. Come se la vita fosse un’esperienza guidata da un caso bizzarro che chiede solo di restare in piedi in qualche modo. E così accade. Non esiste colpo abbastanza duro da annientare l’individuo.
Biografia
Marco Freccero è nato nel 1966 ad Albisola (Savona), dove risiede tutt’ora. Siccome non ha mai amato molto studiare, si è adattato a svolgere diversi mestieri: operaio, magazziniere, autista.
Però non ha mai smesso di leggere.
Le antologie “Più incipit per tutti” (a cura della scrittrice Morena Fanti) e “Racconti a quattro mani” (curata dallo scrittore Remo Bassini), raccolgono alcune sue prove di scrittura.
Per la casa editrice 40K ha pubblicato l’ebook “Starter kit per blogger”.
Indirizzo email: marcfrec@tin.it