Senso imperante di claustrofobia. Siamo rimasti chiusi in ascensore con l’assistenza che non accenna ad arrivare. Uno dei passeggeri sprigiona dalle ascelle un afrore acre e nauseabondo, eppure non c’è modo di liberarsene. Un altro ha la nausea, ma a che pro lamentarsi delle puzze di qualcuno con cui non si può evitare di stare braccio a braccio? L’atmosfera letteralmente irrespirabile diventerebbe così anche metaforicamente irrespirabile. Tanto vale ingoiare il rospo e pazientare.
Eccolo lì, il governo Letta, bloccato tra il secondo e il terzo piano, con tutti i suoi esponenti accalcati in un abitacolo fatiscente che, ostinato, se ne sta bloccato a mezz’aria. Il puzzo di ridicolo, menzogna e meschinità che intossica lo spazio vitale di ciascuno è tacitamente tollerato da tutti in cambio di una convivenza pacifica.
L’ascensore non si muove e il governo deve andare avanti. A qualunque costo. Rospi da ingoiare compresi. E dire che il Pd credeva di essere la principessa che baciando il rospo l’avrebbe trasformato in principe..ed ora invece si ritrova ventriloquo a gracidare per via dello stagno intero che ha nella pancia.
Ma la poltrona val bene qualche rospetto. Così tutti assistono con simulato stupore, senza azzardare giudizi, allo spettacolo pietoso delle unghie di Alfano che si stanno frantumando nel tentativo di arrampicarsi sulla montagna di specchi della vicenda kazaka. Una montagna che, ahilui, è molto più alta di una tragica gaffe internazionale o di una carriera personale. Alfano si è limitato ad esercitare nel pieno la funzione che è chiamato a compiere come ministro degli Interni del suddetto governo: gli interessi personali del cavaliere Berlusconi.
Poco importa, di fondo, se Angelino sapesse ed abbia cercato di far passare in sordina un capro espiatorio sacrificato all’altare di un amico del capo o se davvero abbia fatto da parafulmini ad un disegno troppo complesso per spiegarlo ad un ragazzotto semplice come lui.
La sostanza è che il governo che non deve cadere mai è perfettamente consapevole che buona parte dei suoi rappresentanti è costretta a tenere fede ad un obiettivo più alto del bene del Paese: il bene di chi ha permesso loro di esistere, li ha sollevati da un destino segnato dal più assoluto anonimato (e allo stesso destino potrebbe rapidamente restituirli) ed ha permesso loro di guadagnare una discreta quantità di denaro.
Persino chi non è costretto a rendere conto direttamente al Presidente, è costretto a barattare alcune parti di sé e della propria identità politica con il compromesso connaturato all’essenza stessa di questo mezzo governo. “Non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi che è in me”: immaginiamo Emma Bonino alla specchio ripetersi ossessivamente, a mo’ di scongiuro o di anatema autopunitivo, questa frase.
Perché vogliamo credere che in assoluto segreto, al riparo da orecchie indiscrete che possano riferirlo, la Bonino si ricordi ancora di essere stata vita natural durante la militante dei diritti civili per eccellenza, e che, sempre clandestinamente, si vergogni della connivenza omertosa che sta tenendo nei confronti di una vicenda che, fino a qualche tempo fa, l’avrebbe vista manifestare e sgolarsi davanti al Ministero degli Esteri. Comunque, finche’ l’ascensore deve restare sospeso, nessuno ha il coraggio di dire che c’e’ puzza di ascelle; perche’ il tanfo di sudore e’ l’eau de parfum delle grandi intese. E questo era scritto nel contratto.