1993, l’Italia è presieduta dal governo Ciampi, il quale nel suo discorso annuncia la riduzione della spirale inflazionista attraverso la moderazione salariale ed altri interventi come la politica dei redditi e la crescita degli investimenti innovativi. Il governo si è insediato dopo la crisi recessiva del 1992, l’Italia è uscita dallo Sme e decide sin da subito (trattato di Maastricht) di entrare a far parte del progetto dell’Unione monetaria.
Il contesto storico è caratterizzato dal trionfo del capitalismo made in Usa, le politiche reaganiane secondo cui lo Stato debba essere escluso dalla compagine economica, stanno per essere attuate nella maggior parte dei Paesi occidentali, preconizzando il mercato comune pro- globalizzazione.
Il preludio può sembrare noioso, ma rafforza la comprensione delle strategie economiche che verranno attuate nel nostro Paese di lì a breve, con tutte le conseguenze accessorie ben delineate in La flessibilita del lavoro e la crisi dell’ economia italiana di Pasquale Tridico (per una lettura maggiormente dettagliata, ecco il working paper di Pasquale Tridico Italy from economic decline to the current crisis). Si parte dal 1997 con il pacchetto Treu, per poi passare alla legge Biagi del 2003.
Tutto il vecchio continente si sta omologando al nuovo modello sociale definito flexicurit, “in grado di fornire al contempo flessibilità e sicurezza”. Tutto è in fermento. L’Italia in pieno ciclone neoliberista ed oltre alla maggiore “elasticità” nel campo lavorativo, inaugura un processo di privatizzazione dei più grandi settori pubblici (telecomunicazioni, energia, ferrovie, infrastrutture). Ecco i risultati delle due “manovre”:
Cosa è successo? Le tanto acclamate privatizzazioni mancando di un mercato “realmente” liberalizzato, si sono trasformate in monopoli privati. Le remunerazioni dei profitti sono aumentate a discapito dei salari che da come si evince nel grafico, diminuiscono sensibilmente, creando una iniqua distribuzione della ricchezza (calcolata dall’indice di Gini). Data la maggiore propensione ai consumi da parte dei salari rispetto ai profitti, i consumi ne hanno risentito notevolmente. Non finisce qui.
La scarsa concorrenza che ha generato monopoli privati, ha scoraggiato gli investimenti (se un’ impresa non ha problemi di concorrenza perché dovrebbe investire?) infatti la situazione riguardo la produttività del lavoro è la seguente:
Scarsa produttività del lavoro accompagnata da una forte disoccupazione, stimata oggi intorno al 12% ed una cassa integrazione di 1 miliardo di ore non lavorate sino al 2012. Perché una disoccupazione così alta? Con l’arrivo della grande recessione del 2008 i posti di lavoro a termine, sono stati i primi a saltare, creando aggravio al bilancio statale e deprimendo i consumi. Oggi le prospettive non sono tanto diverse, la riforma del mercato del lavoro Fornero segue la stessa traiettoria, così come la proposta Ichino, rimasta in gola a molti “tecnici” del precedente governo.
Keynes sosteneva che un bravo economista debba comportarsi come un bravo medico capace di diagnosticare il problema per poi curarlo, tuttavia noi continuiamo a curare la malattia con i germi che l’hanno causata, convinti che arriverà il giorno in cui il mercato lasciato libero sarà capace di autoregolarsi da solo.