“Dopo di noi il diluvio”. Il presidente Napolitano ha evocato danni irreparabili alla reputazione internazionale dell’Italia, specie nei confronti delle relazioni internazionali e dei mercati finanziari, qualora venisse meno, per effetto dello scandalo Ablyazov, il governo Letta. Si sa del resto che di tale governo Napolitano è stato a suo tempo il principale e più convinto sponsor e se c’è una dote la cui mancanza non si può, entro certi limiti, rimproverare al presidente, questa è la coerenza.
Bisogna però temere che sia proprio questo bisogno di coerenza ad obnubilare le capacità intellettive di persona che, nonostante l’età avanzata, resta invidiabile per intelligenza ed acume. Se c’è un episodio, infatti, che ha contribuito a danneggiare in modo gravissimo la reputazione internazionale del nostro Paese come Paese rispettoso del diritto, questo è proprio la consegna della moglie del dissidente Ablyazov e della figlioletta al dittatore kazako.
Napolitano riconosce certo la gravità di tale avvenimento. Ma, per carità, più che di patria, di governo, aggiunge, al pari di altri notabili piddini, che i ministri non ne sapevano nulla. Ora, non è possibile sostenere con serietà e buona fede che Alfano non fosse informato dell’operazione. In tal senso va anche, dopo qualche iniziale titubanza forse dettata da un malinteso senso del dovere istituzionale, la testimonianza del capo di gabinetto di Alfano Procaccini.
Ma anche nell’improbabile ipotesi che Alfano non avesse saputo, non sarebbe minore la gravità delle sue responsabilità ai sensi di quella precisa disposizione costituzionale che è l’art. 95, secondo comma: “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”. E tale responsabilità, politica se non penale, ha le sue radici nei riconosciuti e forti legami fra Nazarbayev e il capo del partito di cui Alfano è segretario, nonché suo diretto referente, Silvio Berlusconi.
Questa è del resto la naturale e logica conseguenza dell’esistenza di un governo dove il compagno di merende di Nazarbaev continua a farla da padrone, utilizzandolo come schermo personale per la propria incolumità giudiziaria e la salvaguardia dei propri numerosi interessi. Senza peraltro scartare la possibilità di altri interessi di grossi gruppi nazionali, come Eni e Finmeccanica, tutti fortemente vogliosi di buoni rapporti con il Kazakistan. Alfano, quindi, se ne deve andare al più presto. E se la sua dipartita provocherà il crollo del governo Letta tanto meglio.
In tutto il mondo, a partire dall’Unione europea, l’evento ha suscitato commenti adeguati alla sua gravità e conseguenze pesantissime sull’immagine del nostro Paese. Né agli osservatori internazionali, che non ragionano a quanto pare come ragionava D’Alema, prima di cambiare idea, sono sfuggite le evidenti responsabilità del governo Letta nell’accaduto.
Bisogna dubitare anche del fatto che, come asserito da Napolitano, i mercati finanziari ne soffrirebbero molto. Sarebbe interessante peraltro conoscere le fonti del presidente al riguardo, dato che tali mercati sono, di primo acchito, entità fortemente impersonali e di natura estremamente sfuggente. Se si tratta, come è plausibile, di gruppi di interesse preoccupati, per proprie ragioni, delle performance del sistema Italia, non v’è motivo di pensare che il governo Letta costituisca, alla luce del’esperienza compiuta in questi mesi, un fattore positivo a tale riguardo. E, ad ogni modo, l’Italia è ancora, quantomeno formalmente, una democrazia e non già una mercatocrazia, uno Stato di diritto e non già un luogo di arbitrio, anche se c’è chi si sta dando alacremente da fare per smantellare la Costituzione repubblicana, proprio sotto l’egida del governo Letta, del resto.
Secondo un’inquietante testimonianza raccolta dal Financial Times (non propriamente l’organo dell’anticapitalismo mondiale) uno dei poliziotti che hanno partecipato all’irruzione in casa Ablyazov, dopo aver insultato Alma Shalabayeva, chiamandola “puttana russa“, ha urlato: “io sono la mafia” (vedi articolo pubblicato su Internazionale di venerdì scorso). Speriamo che non sia vero.
Personalmente continuo a nutrire, nonostante tutto, un certo rispetto nei confronti del presidente Napolitano, sia per la carica che ricopre, sia per la sua storia politica e personale. Non posso quindi che restare profondamente amareggiato dal fatto che, per continuare a stare al fianco di Letta e soci fino alla fine, egli rischi in questa vicenda, come in altre, tutto il suo rimanente prestigio e credito personale. Non vorrei, insomma, che re Giorgio finisca per essere ricordato, nei libri di storia, come Napolitano il kazako per aver avvallato il comportamento del governo in questa vergognosa vicenda.