La soluzione, ottenuta in seguito a numerose settimane di manifestazioni, prevede l'inserimento di 23 operai in diversi magazzini a tempo indeterminato. Entro il 30 settembre inoltre, le parti si incontreranno per studiare un percorso per il ricollocamente delgli altri operai in cassa integrazione
E’ fumata bianca per i 41 facchini licenziati dal consorzio Sgb, protagonisti degli scioperi alla Centrale del Latte di Bologna. Dopo mesi di blocchi, proteste e trattative con i vertici dell’azienda, che in appalto gestisce i magazzini della Granarolo, si è trovato un accordo in grado di risolvere “le questioni più urgenti per i lavoratori migranti”, lasciati a casa “per aver manifestato”.
“Grazie ad un confronto telefonico con il Prefetto – racconta Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si Cobas – siamo arrivati a una proposta che prevede l’inserimento di 23 operai in diversi magazzini a tempo indeterminato”, con una posizione contrattuale analoga a quella che avevano presso le cooperative per le quali lavoravano, Global Logic, Planet Log e Work Project, “superando quindi il periodo di prova previsto a inizio rapporto di lavoro”. Inoltre, continua Milani, “è stato formulato l’impegno a incontrarsi entro il 30 settembre per verificare un percorso per il ricollocamento degli altri operai ancora in cassa integrazione in deroga”. Ai facchini verrà riconosciuto il pagamento della retribuzione dalla data del licenziamento al reintegro con l’accesso alla cassa integrazione in deroga al 1 luglio e, “cosa estremamente importante, senza nessun accordo tombale sul pregresso, che riguarda somme che superano le 20.000 euro ad individuo”.
“Un bel risultato” commenta il sindacato di base, specie se si considera che “nel corso della prima trattativa in prefettura, il testo che ci era stato presentato dall’azienda e dai sindacati confederali si limitava ad accusare i lavoratori di disordini, stravolgendo la realtà dei fatti e imputando il loro licenziamento a una questione di ordine pubblico”. E se si tiene conto che i due mesi previsti dalla normativa per attivare la cassa integrazione successiva al licenziamento stavano ormai per scadere. Al quarto confronto in Prefettura, “la proposta che ci hanno presentato poneva l’accento sul fatto che si doveva arrivare ad accettare un patto tombale sul pregresso in cambio di 1.000 euro, 12 rientri in altri magazzini al di fuori della Granarolo e, soprattutto, che se non si accettava l’esito di tale ‘confronto’ non si poteva accedere alla cassa integrazione, visto che mancavano pochi giorni alla scadenza dei termini previsti per attivare tale strumento. Siamo riusciti a ottenere condizioni migliori, ma visto il tempo limitato a disposizione abbiamo deciso di firmare”.
E sancire così il ‘lieto fine’ nel quale 51 lavoratori – i 41 licenziati e i 10 messi in cassa integrazione “quando l’azienda si è accorda di non aver spedito loro le lettere di licenziamento” – manifestazione dopo manifestazione, non avevano mai smesso di sperare: qualcuno di loro, del resto, ha il permesso di soggiorno per vivere in Italia, e senza lavoro finirebbe per perderlo. La disoccupazione, quindi, non se la può permettere. Qualcun altro, poi, ha famiglia, bambini da mantenere, “da mandare a scuola”. L’accordo, a cui il prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia ha chiesto a tutte le parti interessate “di tenere fede”, è una boccata d’aria fresca. “Finalmente – sorridono i facchini nel ricevere la notizia – torneremo a lavorare”.
La battaglia dei lavoratori della logistica era iniziata qualche mese fa, quando i dipendenti di Global Logic, Planet Log e Work Project, cooperative della Sgb, si erano trovati in busta paga una trattenuta del 35% dello stipendio, per “stato di crisi”. Una trattenuta approvata in assemblea dalla maggioranza dei lavoratori, ma da alcuni ritenuta “troppo cara” tanto che, subito dopo, erano iniziate le proteste. Ai blocchi davanti ai cancelli della Centrale del Latte di Bologna e agli scioperi portati avanti dai lavoratori, affiancati da Cobas e da Crash, a ritmi serrati, però, l’azienda aveva deciso di rispondere inviando le lettere di licenziamento. Alcuni facchini, a quel punto, dopo essersi scusati, erano stati successivamente reintegrati ma i 51 interessati dall’accordo avevano deciso di “non cedere”. Continuando, settimana dopo settimana, a protestare contro licenziamenti che il Cobas aveva definito “politici”, e anche contro il parere della commissione nazionale di garanzia sugli scioperi, che aveva equiparato le manifestazioni all’interruzione del pubblico servizio. “La nostra categoria lavora duramente, ci spacchiamo la schiena nei magazzini dove transita la merce che finisce nei supermercati, eppure siamo invisibili – racconta Abdel Ghani, ex dipendente della Sgb, licenziato per aver scioperato – il padrone ha inventato una fantomatica crisi che però sui bilanci non c’è, mentre sulla busta paga si è tradotta in un meno 35% di stipendio. Circa 600 euro in meno ogni mese. E quando abbiamo alzato la testa prima siamo stati sospesi, poi cacciati. E pensare che Granarolo e Coop Adriatica sono due fiori all’occhiello della sinistra di questa città, storicamente rossa”.
E alla fine, la loro battaglia l’hanno vinta. Perché dopo una lunga trattativa tra azienda, sindacati e prefetto, infine, l’accordo è stato siglato e presto, tutti i facchini potranno tornare a lavorare. “Avremmo anche potuto continuare a lottare per ottenere l’immediato ricollocamento di tutti i lavoratori coinvolti, anche perché come si è dimostrato, è solo tramite la protesta che la situazione è in via di risoluzione – sottolinea Milani – ma se non avessimo firmato avremmo rischiato di non riuscire ad attivare la cassa integrazione. La nostra priorità, ora, sarà quella di trovare una soluzione per gli altri lavoratori”.
Contemporaneamente, poi, Cobas ha annunciato che avvierà una vertenza legale contro Ctl per ottenere la “restituzione di quell’1,2 milioni di euro decurtati illegalmente dalle buste paga dei facchini”: “Il buco che motiva il taglio del 35% degli stipendi dei lavoratori della logistica è stato contratto dalle cooperative con le banche e non è giusto che a farne le spese siano i facchini, che già guadagnano stipendi bassi a fronte di turni da 12 ore al giorno. Per questo ieri abbiamo raccolto le firme dei lavoratori che ci hanno dato mandato e nei prossimi giorni invieremo il documento al giudice”. La vertenza, spiega Milani, “sarà contro Ctl, l’azienda committente, perché è inutile attivarla contro tre cooperative in crisi che non pagheranno mai”.