Cronaca

Via d’Amelio e l’esercizio della memoria. In un Paese farsa

Come ogni 19 luglio successivo a quella domenica d’inferno del 1992 _ in cui il botto di via d’Amelio fece strage di uomini, idee e Stato _ in Italia ci si dedica alla commemorazione di Paolo Borsellino e degli uomini della scorta. I Tg lanceranno servizi precotti, con qualche immagine del cratere di via d’Amelio (qualche frames non di più) e un po’ di interviste d’occasione.

I politici, di destra-sinistra-centro, lanceranno comunicati stampa di lacrime e dolore, ma ovviamente eviteranno di mettere piede in via d’Amelio per evitare di essere seppelliti dalle pernacchie. Qualcuno farà cenno all’Agenda Rossa, qualcun’ altro se la prenderà con la mafia prima di colazione, quindi si onorerà il minuto di silenzio alle 16 e 58. Una commemorazione Prêt-à-porter che solo questo Paese è in grado di tollerare, avendola inventata alla bisogna già decenni fa. Qualche dubbio sul falso scoop dell’Agenda Rossa scambiata per parasole? I reali motivi che accelerarono i tempi della strage? L’incontro tra Nicola Mancino e Paolo Borsellino il primo luglio al Viminale? Interrogativi spesso vecchi di ventuno anni che non è il caso di sollevare proprio nel ventunesimo anniversario della carneficina di Borsellino. In mancanza di meglio ci si accapiglia sul concetto di memoria.

Pochi giorni fa era scoppiata una micro polemica tra il movimento delle Agende Rosse e i giovani militanti della destra. Oggetto della diatriba? L’esclusività della commemorazione della strage. I giovani destrorsi rivendicavano la più antica origine del loro corteo, rispetto alle manifestazioni delle Agende Rosse. “Nessuno può negare ad una parte politica di ricordare Borsellino” era stato il commento degli equilibristi più appassionati. Alla fine tra Agende Rosse e ragazzini di destra era stato trovato un punto di unione, per evitare sterili polemiche: anche ad Ignazio La Russa, come già lo scorso anno era successo, deve essere consentito di battersi il petto su pubblica piazza. Ci mancherebbe. Perché l’onore della memoria, in prima fila e con i virgolettati, è un punto importante in questo Paese ricco di anniversari insanguinati. Poco importa che lo stesso Paese bulimico di tetre ricorrenze abbia ampiamente dimostrato di essere allergico proprio alla memoria stessa. Un ossimoro bello e buono, che trova il suo paradigma proprio nella strage di via d’Amelio.

Borsellino morì con la certezza di morire. Sapeva di avere i giorni contati, sapeva che a Palermo era già arrivato il tritolo per lui, sapeva che un amico (ad oggi ancora non meglio identificato) lo aveva appena tradito. Ovviamente nessuno all’epoca dei fatti si preoccupò più di tanto. Il Paese attraversava una profonda crisi, e pazienza se nessuno si ricordò di mettere un divieto di sosta di fronte al civico 21 di via Mariano D’Amelio, così che una tale Fiat 126 imbottita di tritolo venisse notata prima della deflagrazione. Errori di Stato, per una strage di Stato in cui è morta una certa idea dello Stato. Oggi ci rimane la memoria. Che può essere articolata in vari modi. L’associazione Zen Insieme, da anni, dedica la mattina del 19 luglio per spiegare ai bambini della periferia palermitana – i più esposti ad intraprendere carriere criminali – che Borsellino non era superman, non era un super eroe, era un uomo che rappresentava una certa idea di Stato, massacrata in quella strada da certi altri pezzi dello Stato, quella mattina di ventuno anni fa.

A proposito di memoria,  Il Foglio in edicola ieri, ha  deciso di festeggiare l’assoluzione di Mario Mori e Mauro Obinu, pubblicando una splendida lista di Proscrizione. “Queste – scrive il quotidiano di Giuliano Ferrara – sono le persone che hanno tradito l’opinione pubblica e il diritto per imperizia professionale e corrività con le tesi accusatorie dei giudici contro il generale Mori”. Non siamo in Corea e nemmeno in Eritrea. Forse. Nella lista dei nemici pubblici da additare su pubblica piazza, oltre a giornalisti e opinionisti, svettano soprattutto una sfilza di magistrati evidentemente censurabili. Tra questi Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, destinatari di lettere minatorie tutt’altro che rassicuranti. A proposito del concetto di memoria, è davvero un’ottima idea. Ricordate quel divieto di sosta? Oggi, ventuno anni dopo, ognuno fa quello che può.