Nel 1997 il Tribunale di Torino condannò Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat, per falso in bilancio. Pochi giorni dopo la condanna me lo ritrovai ospite d’onore alla festa annuale della Polizia, omaggiato dalle alte personalità ivi presenti. Il Procuratore generale, il Procuratore della Repubblica e i Procuratori aggiunti, tra cui io, ce ne andammo. Eravamo a disagio.
Questi episodi mi sono tornati in mente dopo la conferma della fiducia ad Alfano, uno che ha consegnato una donna e una bambina, colpevoli solo di essere moglie e figlia di un oppositore politico (o un delinquente, non ha alcuna importanza se l’uno o l’altro) a un dittatore straniero che se ne servirà come ostaggio e arma di ricatto. Quale classe politica infesta l’Italia! Sono questi i padri coscritti, i migliori di noi, quelli cui affidiamo il Paese? Come non lo hanno espulso, giudicandolo indegno di sedere tra loro!
Naturalmente ho riso di me stesso: un Parlamento che ha affermato essere Ruby la nipote di Mubarak non poteva avvertire disagio nel dichiarare che il ministro dell’Interno nulla ha saputo di un blitz organizzato dall’ambasciatore Kazako con la complicità volenterosa (o stupida, di nuovo non ha importanza) di tanti alti funzionari da lui direttamente dipendenti. E mi sono reso conto che dietro questa indifferenza verso la legalità, l’etica e la dignità c’era la stessa cultura che caratterizzava il Prefetto che aveva invitato la “maga” evasore fiscale e il Questore che aveva invitato Romiti neocondannato per falso in bilancio: l’arroganza del potere.
Questo però non spiega tutto: perché queste cose succedano così frequentemente è necessario che i potenti siano consapevoli dell’assenza di ogni sanzione legale; e che sappiano che la disapprovazione dei cittadini sarà poco diffusa e limitata nel tempo. Da dove nascono queste certezze?
Quanto alle sanzioni di tipo penale e civile, non occorre cercare lontano. Un sistema giudiziario costruito per non funzionare, che garantisce impunità ai delinquenti comuni (fatta eccezione per gli scarti della società), non può costituire deterrente per una classe politica protetta da privilegi assurdi, dotata di mezzi economici rilevanti, sostenuta da organi di informazione asserviti.
Quanto alle sanzioni istituzionali, le dimissioni necessitate, l’espulsione, la sfiducia, sono del tutto teoriche. Al massimo si applicano ai parvenu della politica, a quelli che non fanno parte del sistema di favori e favoreggiamenti fatti e ricevuti: per dire, a Josefa Idem, l’ingenuo specchietto elettorale cooptato dal Pd, e non ad Angelino Alfano.
Per lui e per quelli come lui l’intero apparato si mobilita. Il Pdl, che minaccia la caduta del governo in caso di sfiducia. Il Pd, che non fece altrettanto per la Idem (e fece bene), e che si astiene dal ricordare questo precedente; e che, soprattutto, non difende ferocemente un principio fondamentale: la sfiducia di un ministro non significa sfiducia al governo; nominatene un altro ma questo via, è indegno.
Napolitano, l’ineffabile regista del sistema di favori e favoreggiamenti; quello che nasconde le sue esternazioni telefoniche di cui evidentemente si vergogna; quello che si atteggia a salvatore della Patria, accettando un secondo mandato che ha l’unico scopo di mantenere in sella i favoreggiati e i favoreggiatori; quello che non arrossisce dichiarando pomposamente che questo governo imbelle e paralizzato deve restare in carica costi quello che costi. Ma potrebbe aver ragione, la sua visione politica potrebbe essere sostenuta da qualche non ripugnante principio. Ci dica allora qual è il suo limite. Cosa debbono fare Alfano e i suoi simili perché la sua real politik sia abbandonata? Quale abbietta azione può ancora essere compiuta impunemente?
Quanto alla reazione dei cittadini. Ecco, il problema vero sta qui. Al ricevimento del Prefetto, intorno alla maga, c’era un folto capannello di persone; e lei sorrideva, teneva corte, dispensava consigli. Alla festa della Polizia, alcuni giudici non si allontanarono con noi; anzi ricercarono l’occasione per disapprovarci ostentatamente.
Nell’aprile 2011, il Parlamento dichiarò che Ruby era la nipote di Mubarak; ma, nelle elezioni del 2013, 10 milioni di persone votarono Pdl senza essere influenzati dal disprezzo per la verità e dall’asservimento dei politici che votavano. Ecco perché Alfano, i suoi adepti del Pdl e, soprattutto, i senatori del Pd, quelli che hanno gettato la maschera, rivelando la stessa spregiudicata appartenenza al sistema di favori e favoreggiamenti, non sconteranno nessuna conseguenza per l’atto barbaro compiuto e per le coperture politiche concesse. Sanno, per l’esperienza maturata in decenni di potere (che di democrazia ha solo il nome) che i sudditi italiani non hanno il problema di perdonare; semplicemente dimenticano. O vogliono dimenticare, che è lo stesso.
il Fatto Quotidiano, 20 luglio 2013