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La battaglia di Serekani e il nuovo Medio Oriente di cui abbiamo bisogno

Una buona notizia dal fronte siriano. I miliziani kurdi del Partito dell’Unità Democratica (PYD) hanno sconfitto i fondamentalisti islamici legati ad Al Qaeda e sostenuti dal governo turco del “moderato” Erdogan, conquistando la località strategica di Serekani (Ras Al Ayin in arabo) al confine tra Siria e Turchia. 

Si conclude così una lunga e complessa battaglia durata parecchi mesi e con fasi alterne. Il successo del PYD sul piano militare sta aprendo la strada all’autogoverno democratico dei kurdi nel nord della Siria. Come ho già avuto occasione di sostenere ciò configura la concreta possibilità di un’alternativa alla sanguinosa e crudele guerra civile in corso nel Paese, delineando una via d’uscita basata sull’autonomia delle popolazioni, il cessate il fuoco, l’espulsione dal Paese dei terroristi venuti dall’estero, nuove elezioni effettivamente democratiche in tutto il Paese, la punizione dei crimini contro l’umanità commessi sia dall’esercito di Assad che dai ribelli. 

A condizione beninteso che le potenze interventiste sia locali (Turchia, Arabia Saudita, Qatar) che globali (Stati Uniti, Francia, Regno Unito) rinuncino ai loro disegni di destabilizzazione. Il regime degli Assad dovrà essere superato ma la guerra civile va fermata, bloccando ogni rifornimento bellico alle parti in causa.

Se è vero, e ne sono convinto, che il rovesciamento di Morsi in Egitto ha significato l’inizio della fine dell’Islam politico, nuove prospettive di pace e democrazia si aprono per tutto il Medio Oriente. I Fratelli musulmani hanno ovviamente diritto ad esistere come formazione politica, ma quello che il popolo egiziano e le forze armate di quel Paese hanno bloccato è stato il tentativo di imporre un modello culturale e religioso che non fa i conti con la realtà plurale della sua storia e della sua cultura. 

L’insegnamento che viene quindi dalla vittoria dei combattenti kurdi a Serekani e da quella del popolo egiziano contro Morsi è quindi in fondo la stesso: la pace e la democrazia nell’area del Medio Oriente possono venire solo dalla sconfitta dell tentativo di dare false soluzioni ai problemi esistenti basate sull’esaltazione del fanatismo religioso e su di un uso strumentale del messaggio islamico.

Le potenze occidentali hanno alimentato, finanziato, armato e addestrato i peggiori fondamentalismi, a partire da Bin Laden, nella folle illusione di contenere in tal modo le giuste rivendicazioni dei popoli all’autodeterminazione e al controllo effettivo sulle loro risorse naturali. In questo modo hanno, come diceva Mao, sollevato grosse pietre per poi farsele cadere sui piedi. 

Stupisce davvero il livello di dilettantismo esibito in queste ed altre occasioni dai governanti dell’Occidente. In ultima analisi sembra che essi tengano principalmente alla continuazione della guerra sempre e comunque, se non altro per fare buoni affari vendendo armamenti, ma anche perché la guerra costituisce la negazione di quella democrazia effettiva e operante che essi vedono giustamente come una minaccia ai propri interessi.

Questo discorso ovviamente va ben al di là dei confini del Medio Oriente ma costituisce un atteggiamento a carattere generale. E’ anche per questo che succede che la polizia italiana venga assegnata temporaneamente, senza neanche regolare gara, al dittatore kazako per aiutarlo a impossessarlo di due preziosi ostaggi. Perché esiste una profonda affinità tra personaggi come Nazarbaev e soggetti come Berlusconi. E non mi riferisco solo alle scelte fatte per passare il tempo libero.

C’è una comunanza di interessi fra le classi dominanti cui va opposta la solidarietà dei popoli. Guai a ritenere che quello che accade oggi in Siria, in Egitto, in Kazakistan o in Turchia non ci riguardi. La lotta per la democrazia e l’affermazione dei bisogni popolari non conosce davvero frontiere. Una verità valida da sempre, ma oggi ulteriormente rafforzata dai processi di globalizzazione.

Il Medio Oriente costituisce una regione strategica e ricca di risorse che vanno finalizzate al benessere dei popoli, sottraendole alle multinazionali alleati da regimi basati su tirannie personali, fondamentalismi religiosi o, come quello di Israele, nazionalismi di stampo razzista. Lo stesso vale del resto per noi, dove il governo bipartisan si appresta a svendere il patrimonio pubblico  e a smantellare quanto resta dello Stato sociale  per fare cassa.

La nuova forza alternativa di cui abbiamo urgente bisogno in Italia e in Europa dovrà avere come proprio carattere fondante la consapevolezza del destino comune fra i popoli e gli individui. E dovrà interagire con le forze democratiche e popolari di cui la regione medioorientale è ricca, anche se l’informazione spesso ignorante e asservita non ne dà conto in maniera adeguata.