Ultimamente, anche a quelli di voi che davvero non sono interessati al mondo della cucina, sarà capitato di ruzzolare su di un programma televisivo che parla di cibo. Re delle torte alle prese con costruzioni che manco il ponte sullo Stretto, Masterchef esperti nell’arte dell’insulto creativo, format di pasoliniana memoria con casalinghe, parenti e formose presentatrici. Il momento di gloria del trend gastronomico non accenna a placarsi e, onda su onda (cit.), ci travolge con contenuti sempre meno interessanti, almeno per la vecchia guardia. 

Già. Perché, che ci crediate o no, esiste una “vecchia guardia”, un esangue numero di persone che da sempre segue l’evolvere mondiale della cultura gastronomica con solenne interesse. Bisbigliando nelle stanze segrete del web per non farsi scoprire, risparmiando cento euro al mese per cenare al tre stelle. Quelli che un tempo chiamavano Gourmet

Ecco, loro – portrei dire noi – non sono contenti di questa epidemia gastronomica, si sentono spodestati, rivendicano la paternità di interesse. 

E poi, come se non bastasse, arriva su digitale terrestre un nuovo programma che parla di cibo: Unti e Bisunti. Un tizio alto, muscoloso, tatuato dalla testa ai piedi, che gira l’Italia alla ricerca del più trucido dei cibi di strada, che parla romano, che mangia ovaie di animale con le mani, che trasuda testosterone da tutti i pori, e che conquista la scena con dissacrante impertinenza. 

Signore e signori, vi presento chef Rubio. Avete presente? (immagina se si può)

I miei colleghi della vecchia guardia non amano Rubio. Pensano, in generale, che sia la peggiore distorsione del linguaggio gastronomico. La sacra stanza della cucina squattata dal movimento del Daje. Per intenderci. 

Invece io, proprio io, già templare in difesa della ricerca gastronomica, trovo in questa storia qualcosa di interessante che riassumo in due punti:

1) il format riporta fortemente e finalmente il cibo raccontato in Tv a un linguaggio squisitamente televisivo, meno pretenzioso-gastronomico, meravigliosamente italiano. Questo grazie a Pesci Combattenti, splendidi interpreti del mezzo;

2) propone un approccio al cibo veramente alla portata di tutti. E’ qualcosa di cui possiamo parlare senza paura di confondere la cucina molecolare con la nouvelle cuisine, per farla complicata. Non è lo pseudo-programma pseudo-gourmet pseudo-io-sono-lo-chef-e-tu-non-sei-nessuno. E’ strada, e la strada è di tutti.

Gli spettatori del tubo se ne accorgono e affollano l’audience. Lo capiscono chef Rubio, lo apprezzano, lo desiderano pure troppo. 

E da qui, un paio di difetti, a mio parere:

1) dalle interviste che sempre più spesso leggo in giro nel web si erge un’immagine di Rubio che non ha niente da invidiare a Rocco Siffredi. Ma quale “cucina restituita al popolo”, qui si parla della più sexy delle rockstar, di donne ieri giornaliste oggi ferormone che si squagliano a mezzo di inchiostro e sbavano sulla tastiera. Questo non mi conquista. Mi indubbia;

2) la pubblicità. Okay, gli sponsor sono fondamentali di questi tempi, pagano gli stipendi e giustificano il lavoro di molti. Ma veramente siamo ancora al carosello? Davvero c’è il protagonista che nel bel mezzo della vicenda esclama: “Ho proprio bisogno di una birra” quindi acchiappa la bottiglia in bella mostra di etichetta e se la ingoia? Dai ragazzi, potete fare di meglio. State scrivendo la storia, un po’ di fantasia, che diamine.

Detto questo, ho detto tutto. 

Ora mi interessa il parere dei severissimi commentatori del fattoquotidiano.it, ricordando che non stiamo salvando delle vite, che questo è un momento di svago, e che potete darmi del tu.

(Foto Lapresse)

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