In piazza Alimonda il primo anniversario accompagnato da sentenze definitive su tutti i processi più importanti, dagli scontri di strada alla Diaz a Bolzaneto. Ma resiste il mistero sulle responsabilità istituzionali. Dalle decisioni di ordine pubblico alla strategia della tensione messa in campo dai servizi, ecco i nodi ancora irrisolti
Sono passati 12 anni dal G8 di Genova, e questo è il primo anniversario che si celebra con tutti i principali processi definitivamente chiusi. Esiste dunque una verità giudiziaria su quei giorni di violenze e abusi, ma la verità politica è ancora lontana. Le inchieste hanno ricostruito i due giorni di scontri fra polizia e manifestanti, le violenze e le umiliazioni subite dai fermati nel centro di detenzione allestito a Bolzaneto, il brutale pestaggio della polizia alla scuola Diaz. Sulla morte di Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola il pomeriggio del 20 luglio 2001 durante gli scontri di piazza Alimonda, la verità giudiziaria è un’archiviazione per legittima difesa in favore del carabiniere Mario Placanica. I familiari hanno tentato tutte le strade per riaprire il caso, e hanno annunciato recentemente l’intenzione di aprire una causa civile.
Ma tutte queste verità giudiziarie, con il loro carico di condanne anche per alti dirigenti della Polizia di Stato, lasciano aperte altrettante domande sulle responsabilità politiche di quei giorni, che non sono materia per i tribunali. In dodici anni, nessuno se n’è fatto carico. Chi fece e disfece i piani dell’ordine pubblico mentre la situazione per le strade di genova sfuggiva di mano, tra i blitz devastatori dei black bloc e i manifestanti pacifici pestati a sangue da poliziotti e carabinieri? Poche ore dopo la morte di Carlo Giuliani, fu il capo della polizia Gianni De Gennaro a esautorare il responsabile dell’ordine pubblico Ansoino Andreassi, buttando nella mischia i suoi uomini di fiducia La Barbera, Gratteri e Caldarozzi, o ne discusse con il suo superiore, il ministro dell’Interno Claudio Scajola? O magari con il vicepremier Gianfranco Fini, allora assai meno moderato e rassicurante di oggi, che con Alleanza nazionale aveva messo un cappello di “solidarietà preventiva” alle forze dell’ordine, di fatto legittimando politicamente il pugno duro in piazza? E qualcuno teneva informato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, impegnato a palazzo Ducale nel vertice con “i grandi della terra”?
Gli stessi giudici che hanno condannato a pene pesanti diversi manifestanti, in particolare anarchici e autonomi che hanno accompagnato le scorribande del blocco nero, hanno messo in evidenza drammatici errori nella gestione dell’ordine pubblico. La vera guarriglia urbana a Genova scoppia nel primo pomeriggio in seguito alla carica del corteo dei Disobbedienti in via Tolemaide. Da quella scintilla scaturiscono gli scontri che portano alla morte di Giuliani. Il processo (contro i manifestanti) ha provato che quella carica fu un’iniziativa autonoma di un plotone di carabinieri, contro gli ordini della sala operativa della Questura e contro i piani di una trattativa già intavolata per tempo fra i i Disobbedienti di Luca Casarini e funzionari di polizia. Fu solo un errore o, come si adombra nella sentenza di primo grado del tribunale di Genova sui disordini di piazza, una scelta consapevole per far saltare l’accordo e aumentare la tensione?
Quel che certo è che almeno da febbraio del 2001 i servizi segreti si diedero da fare per diffondere, e far filtrare sui giornali con dovizia di particolari, delle informative allarmanti che prefiguravano piani d’attacco dei manifestanti ben peggiori di quelli che poi si verificarono: palloncini di sangue infettati dal virus dell’Aids, sequestri di agenti rimasti isolati, deltaplani, copertoni incendiati, feroci cani pitbull… Senza far mancare ipotesi di alleanze con il terrorismo islamico. Una valanga di suggestioni che finirono per intasare i tavoli del Viminale senza offrire alcun elemento concreto per intervenire, come hanno sottolineato il prefetto La Barbera davanti al Comitato parlamentare d’indagine e il ministro Scajola, molti anni dopo, in un’intervista per il documentario “Governare con la paura” di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio. Ottennero però l’effetto di “caricare” ulteriormente le truppe delle forze dell’ordine contro i già famigerati “no global”.
E’ questa, in sintesi, la verità giudiziaria sugli episodi più gravi del G8 di Genova. Il pestaggio notturno della Diaz – oltre 60 feriti su 93 arrestati – non fu pianificato come tale, tanto che l’ufficio stampa di De Gennaro allertò in anticipo alcuni giornalisti per mostrare il trofeo del covo del black bloc espugnato. Secondo i giudici, la perquisizione disposta il 21 luglio, a G8 finito, alla ricerca di armi fu legittima, ma al momento del blitz gli agenti sfuggirono al controllo e si abbandonarono a violenze insensate contro i manifestanti inermi e mezzi addormentati. Poi gli alti vertici presenti nel cortile della scuola si diedero da fare per coprirli, montando fra l’altro il falso delle molotov. La Barbera, interrogato dai pm di Genova prima di morire nel 2002, disse di aver cercato di annullare l’operazione all’ultimo momento, perché aveva capito che tra i poliziotti stava montando troppa rabbia: “Conosco i miei animali“, mise a verbale con la consueta ruvidezza. E le violenze di Bolzaneto, secondo le sentenze del relativo processo, furono le conseguenze di un caos organizzativo che affollò la caserma di manifestanti e uomini delle forze dell’ordine reduci dagli scontri, che si sfogarono contro le “zecche” e le “troie comuniste”. Contando, anche in questo caso, sull’accondiscendenza e sulla copertura dei superiori. La strategia della tensione, voluta o meno, ha raggiunto il suo scopo.
E i black bloc, che fin dalla mattina del 20 luglio iniziarono la devastazione, mentre tutte le attenzioni mediatiche e poliziesche erano concentrate sui “cattivi” di Casarini? Nel fascicolo del processo contro i manifestanti non c’è alcun cenno ad atti di indagine sulla loro preparazione al G8 di Genova, tanto che i pm hanno dovuto usare Google e un paio di libri regolarmente in commercio per descrivere chi fossero. Finirono imputati solo una ventina di “no global” ripresi dalle telecamere durante i disordini più gravi. Ci sono invece due puntuali informative del Sisde, agli atti del Comitato parlamentare, che già il 19 luglio anticipano orario, luogo di ritrovo e intenzioni del blocco nero per il giorno dopo. Non sono servite a molto.
Dodici anni dopo, sappiamo quello che è successo a Genova, ma non quello che è successo a Roma. E la famosa presenza di Fini nella caserma di Forte San Giuliano non è di per sé sufficiente a svelare una regia politica. Che, se c’è stata, viene da più lontano. Il Comitato parlamentare d’indagine diede risposte parziali – alla Diaz si verificarono semplicemente “taluni difetti di coordinamento sul piano decisionale”, si legge nella relazione finale votata dal solo centrodestra – poi l’attenzione politico-mediatica crollò con gli attentati dell’11 settembre. Le tante richieste di una Commisione parlamentare d’inchiesta sono cadute nel vuoto, anche per l’opposizione di pezzi del centrosinistra che non avevano alcuna voglia di mettersi contro De Gennaro e gli apparati di sicurezza. Difficile pensare che a una tale distanza di tempo l’idea sia riproposta e accolta. Altrettanto difficile che qualcuno dei registi dell’epoca decida spontaneamente di dare il suo contributo di verità a questo moderno mistero italiano.
video di Cosimo Caridi