La “Commissione parlamentare d’inchiesta sulla criminalità organizzata e mafiosa o similare”, brevemente chiamata “Commissione antimafia”, venne istituita per la prima volta nel lontano 1962.

Le relazioni delle “Commissioni antimafia” sono dunque un prezioso strumento di ricerca per gli studiosi ma anche per chi abbia voglia di documentarsi su un fenomeno che condiziona ancora oggi gli equilibri politici del paese.

Si tratta di una lettura sicuramente istruttiva, utile a tener desta la memoria: noi italiani siamo un popolo dalla memoria corta. Certo, commemoriamo la morte di due grandi magistrati come Falcone e Borsellino, ma poi riusciamo a far eleggere al parlamento politici collusi con la mafia e condannati per reati di corruzione.

Oggi, il risultato dei lavori della “Commissione antimafia” si può scaricare online, anche se non tutte le relazioni sono ancora disponibili.

Per mia fortuna ho tra le mani una copia cartacea della relazione conclusiva approvata nella seduta del 18 gennaio 2006. Quella dove relatore era il senatore Centaro. La stessa che dalla pagina 499 fino alla pagina 949 tratta il processo Andreotti riportando i verbali delle testimonianze dei collaboratori di giustizia e ricostruendo i rapporti imbarazzanti di Giulio Andreotti con personaggi del calibro di Vito Ciancimino, i cugini Salvo, Salvatore Lima, Michele Sindona.

Sembra di leggere un giallo e, sulla vicenda “Sindona”, sfogliando le pagine del processo Andreotti, si è catalizzato il mio interesse. In quella vicenda si parla anche dell’avvocato Giorgio Ambrosoli e delle minacce da lui subite, prima di venire assassinato, quando era commissario liquidatore della banca fondata da Michele Sindona.

Fu accertato infatti, che Michele Sindona era un banchiere che aveva costruito le proprie fortune attraverso le relazioni con lo IOR (Istituto Opere di Religione), banca vaticana e con il Banco di Roma e che gli erano servite per mettere in piedi la Banca Privata Italiana e la Banca Unione. Tra i dirigenti spuntava il nome del noto monsignor Marcinkus.

Ma l’attività finanziaria di Michele Sindona era anche quella di riciclare il denaro per conto dello schieramento c.d. “moderato” di Cosa Nostra riconducibile a Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo.

Nei primi anni ’70 la Banca Privata Italiana subì un’ispezione dalla Banca d’Italia e vennero accertate delle irregolarità. Fu solo nell’ottobre del 1974 che la Banca Privata di Sindona venne messa in liquidazione coatta dal Tribunale di Milano e venne emesso un ordine di cattura nei suoi confronti per bancarotta fraudolenta. L’avvocato Giorgio Ambrosoli venne incaricato di esaminare l’attività finanziaria dell’istituto di credito di Sindona e i rapporti economici tra politica, massoneria e mafia che vi erano confluiti.

Era acclarato che Michele Sindona mantenesse relazioni con la mafia italo-americana e con settori della Democrazia cristiana. In particolar modo con l’esponente politico Giulio Andreotti.

Aldo Moro nel suo memoriale raccontò del legame tra Sindona e Andreotti. Ricordò che tra il 1971 e il 1972 Andreotti volò negli Usa per partecipare ad un banchetto con Sindona e commentò triste: “Forse non fu un gran giorno per la Dc”.

Pare che la messa in liquidazione coatta della banca di Sindona, dopo l’ispezione della Banca d’Italia nel 1971, tardò proprio per un intervento di Andreotti.

I rapporti di Andreotti con Sindona proseguirono, anche quando quest’ultimo divenne latitante, grazie alla figura ambigua dell’avvocato di Sindona, Rodolfo Guzzi. Si legge che l’avvocato Guzzi avesse assunto il ruolo di “factotum e di intermediario con il mondo politico”.

L’avvocato Giorgio Ambrosoli di tutt’altra sostanza morale, si occupò di verificare le numerose irregolarità commesse dalla banca di Sindona e gli intrecci tra personaggi mafiosi e pubblici ufficiali. Ambrosoli subì pressioni di ogni tipo e tentativi di corruzione fino a minacce molto esplicite da parte del mafioso Giacomo Vitale che rappresentava la parte di Cosa Nostra che aveva interessi nella Banca Privata Italiana.

La finalità delle intimidazioni nei confronti di Ambrosoli era chiara. L’avvocato doveva attuare specifici comportamenti favorevoli a Sindona. Ma non lo fece.

Come si concluse la vicenda è ormai noto a tutti: la banca venne liquidata e vennero confermate le responsabilità penali di Sindona. L’11 luglio del 1979 un sicario americano della mafia uccise Ambrosoli mentre stava rincasando.

Michele Sindona, ritenuto il mandante dell’omicidio di Ambrosoli, morì avvelenato da un caffè “corretto” al cianuro nel carcere di Voghera il 20 marzo 1986.

Il senatore Giulio Andreotti morì il 6 maggio 2013 a 94 anni nella sua casa di Roma.

Il Consiglio regionale lombardo commemorò in aula, con un minuto di silenzio, la morte di Andreotti. Il figlio di Ambrosoli anch’egli avvocato e consigliere del Partito democratico uscì da quell’aula. E come dargli torto?

La Corte d’Assise di Appello di Perugia nella sentenza del 17 novembre 2002 sempre in merito ai rapporti tra Sindona e Andreotti scrisse : “ …dopo aver saputo per bocca dello stesso difensore di Sindona delle minacce fatte pervenire da costui a Giorgio Ambrosoli e … non potendo ignorare con che razza di personaggio avesse a che fare, tuttavia Giulio Andreotti continuò ad intercedere in favore di Sindona …”.

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