“A nessuno è consentito aggredire il rapporto fra la mafia, la politica, gli affari. A nessuno è consentito indagare, cercare la verità, processare a far di tutto per arrivare a sentenza di condanna. Il Potere non lo vuole. Il Signore del Colle ha detto no”. Sono le durissime parole del giornalista Saverio Lodato, durante l’incontro promosso presso la Facoltà di Giurisprudenza a Palermo dall’Associazione Culturale Falcone e Borsellino in memoria della strage di via D’Amelio. Lo scrittore stigmatizza il comportamento del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nell’ambito della lotta alla mafia: “Si percepisce sempre e tutti hanno sempre capito che dietro queste stragi c’è dell’altro. Questo lo hanno capito tutti gli Italiani. Ma in Italia è vietato cercare questo ‘qualcos’altro’. Non è consentito”. Lodato menziona i vari misteri irrisolti: dal mandante della strage di Portella della Ginestra ai diari di Falcone fino all’agenda rossa di Paolo Borsellino e alla trattativa Stato-mafia. “E’ vietato chiamare in causa lo Stato” – commenta il giornalista – “è vietato cioè affermare che dirigenti dei servizi segreti italiani andrebbero cacciati e mandati in cella. Ma purtroppo questo è un argomento che il nostro Capo dello Stato non gradisce. E qui cala la saracinesca quirinalizia”. Lodato illustra provocatoriamente una nuova rivisitazione della storia della mafia, quella in auge ai giorni nostri. E menziona lo storico Salvatore Lupo, secondo cui gli Americani non ebbero mai rapporti coi mafiosi negli anni immediatamente successivi alla Liberazione. Cita il giurista Giovanni Fiandaca e il sociologo Pino Arlacchi, che ha sempre negato l’esistenza di alcuna trattativa tra lo Stato e la mafia, prima e durante le stragi del 1992. Non manca nell’elenco Emanuele Macaluso, per il quale il patto tra Stato e mafia era legittimo. Lodato si sofferma poi su Nicola Mancino, sulla sua telefonata a Giorgio Napolitano, sulla morte del consigliere del Capo dello Stato, Loris D’Ambrosio, decesso che, secondo Giuliano Ferrara, è imputabile alle indagini dei magistrati Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. Lodato poi osserva: “Un imputato per falsa testimonianza, Nicola Mancino, ha tutto il diritto di telefonare al Quirinale chiedendo che venga alleggerita la sua posizione processuale. E ha tutto il diritto di intrattenersi telefonicamente con il capo dello Stato. Lo dice il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. E Giorgio Napolitano è un uomo d’onore. E un capo dello Stato d’onore”. E aggiunge: “Si può commemorare su un importante quotidiano la morte di Giulio Andreotti, non ricordando mai, neanche in una riga che la Cassazione condannò Andreotti a pagare le spese processuali riconoscendo che sino al 1980 incontrò a più riprese il vertice di Cosa nostra. Lo dice” – continua – “la grande firma del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari. Ed Eugenio Scalfari è un uomo d’onore. E’ grande firma d’onore”