Cronaca

Asta truccata per vendita castello Narni, indagini sulla gestione della diocesi

Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della potentissima Comunità di Sant’Egidio e da un anno presidente del pontificio consiglio per la famiglia, ha gestito per dodici anni la diocesi di Terni e non è indagato. “Seguiamo i soldi”, spiegano gli inquirenti. Bisogna districare la complessa galassia di società che girava attorno alla diocesi di Terni sull'orlo del fallimento

Soldi, tanti soldi che spariscono. Un castello nel cuore dell’Umbria al centro di un vero e proprio giallo finanziario. E una diocesi, quella di Terni, oggi sull’orlo del fallimento, con due ex amministratori finiti in manette, accusati di associazione per delinquere e turbativa d’asta. Con un nome eccellente – al momento estraneo alle indagini – per dodici anni al vertice della struttura ecclesiastica scandagliata dagli inquirenti, quello di monsignor Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della potentissima Comunità di Sant’Egidio e da un anno presidente del pontificio consiglio per la famiglia. Una storia che – secondo alcune indiscrezioni raccolte da Terni oggi – sarebbe finita già lo scorso anno nel dossier segreto lasciato da Benedetto XVI a papa Francesco, utilizzata, oltre Tevere, come una delle tante armi di ricatto nel domino sul futuro assetto dei poteri in Vaticano.

I dodici anni di gestione della diocesi umbra affidata a monsignor Paglia nel 2000 sono finiti malissimo, dal punto di vista economico. La cifra del passivo che pesa sui bilanci è stata certificata dallo stesso amministratore apostolico arrivato a Terni qualche mese fa: “Si tratta di un debito tra i 20 e i 23 milioni di euro”, ha spiegato monsignor Ernesto Vecchi ad una tv locale. Finiti dove? La versione ufficiale l’ha fornita un mese fa l’avvocato della Curia ternana, Renzo Nicolini, rispondendo con una lettera aperta alle accuse che ormai circolano apertamente in Umbria: si tratta di operazioni che “hanno comportato un saldo finanziario negativo per la crisi del settore immobiliare che caratterizza l’attuale momento”. Insomma, semplicemente affari finiti male.

Tra questi spicca l’acquisto di un complesso medioevale a Narni, il castello di San Girolamo. Qui le cose sono andate decisamente malissimo: il 17 luglio scorso il nucleo valutario della Guardia di finanza e la Questura di Terni hanno arrestato tre persone con l’accusa di associazione per delinquere e turbativa d’asta, su richiesta del pm ternano Elisabetta Massini. I nomi sono ben noti all’interno della diocesi guidata fino al 2012 da monsignor Paglia: Luca Galletti, già direttore dell’ufficio tecnico della Curia e presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero; Paolo Zappelli, già economo della Curia e il dirigente del comune di Narni Antonio Zitti, responsabile unico del procedimento di vendita del castello.

La vicenda nasce quando un gruppo di imprese – con a capo l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Terni – nel 2010 si aggiudica l’asta indetta dal comune di Narni, per 1,6 milioni di euro, per la cessione del castello di San Girolamo. Il progetto che aveva in mente la diocesi era faraonico: trasformare la sede di un antico convento francescano in un albergo a quattro stelle, piscina inclusa. Poco dopo l’acquisto la diocesi apparentemente esce e il ruolo di capofila viene assunto da una società dei due amministratori della Curia, Galletti e Zappelli. A quel punto il progetto iniziale viene meno ed inizia la ricerca di un acquirente, per una cifra ben superiore a quella dell’asta, pari a sei milioni di euro. Insomma, dall’idea di un albergo per pellegrini ricchi, l’affare si trasforma rapidamente in una classica speculazione immobiliare, realizzata – secondo la procura di Terni – con l’avvallo economico della diocesi di Terni. Lo scorso marzo erano scattate le prime perquisizioni, con la consegna degli avvisi di garanzia ai due amministratori diocesani, che solo allora lasciano il loro incarico.

Ora gli inquirenti stanno cercando di capire se l’affare fosse gestito da Zappelli e Galletti per un guadagno personale o se questa operazione fosse in realtà solo la punta emersa di un gigantesco iceberg. “Seguiamo i soldi”, spiegano gli inquirenti ternani, assicurando che – almeno fino ad ora – il nome di Vincenzo Paglia non è nell’elenco degli undici indagati. Rimane da districare la complessa galassia di società che girava attorno alla diocesi di Terni, molte delle quali riconducibili ai due arrestati. Quei 23 milioni di passivo nel bilancio di una Curia in fondo piccola convincono molto poco, mentre in città alcuni imprenditori chiedono di andare a verificare i tanti lavori di ristrutturazione dei beni ecclesiastici.