Anche la famiglia Agnelli avrebbe usato il Vaticano per rimpatriare capitali. La rivelazione è stata fatta da monsignor Nunzio Scarano, ex contabile dell’Apsa in Vaticano finito in carcere con l’accusa di corruzione, al suo amico Massimiliano Marcianò. Quest’ultimo lo ha riferito ai pm di Salerno in un interrogatorio finora segreto che il Fatto ha visionato. Il 3 luglio Marcianò, 45 anni, imprenditore nel settore degli eventi, amico stretto di Scarano del quale conosce tutti i segreti e i conti, si siede davanti agli investigatori salernitani. A Roma Scarano è indagato per corruzione dell’agente dei servizi segreti Giovanni Zito in relazione alla vicenda del tentato rimpatrio dalla Svizzera di 20 milioni di euro, per i pm forse appartenenti agli armatori D’Amico.

L’inchiesta per riciclaggio della Procura di Salerno, guidata da Franco Roberti, invece parte dai 560mila euro in contanti prelevati dal conto Ior e trasformati in assegni circolari grazie a finte donazioni. Quando Marcianò si siede di fronte al pm Elena Guarino e al colonnello Antonio Mancazzo, comandante del nucleo di Polizia Tributaria di Salerno della Guardia di Finanza, Scarano è dietro le sbarre. L’amico del monsignore, sentito a sommarie informazioni con l’obbligo di dire la verità, riporta le confidenze di Scarano a partire dalla storia degli Agnelli e dei trucchi per spostare capitali e documenti col timbro della Santa Sede.

“Scarano mi ha raccontato che le operazioni di rimpatrio di capitali dall’estero fatte per gli armatori D’Amico (i cugini Cesare e Paolo D’Amico indagati per infedele dichiarazione dei redditi dai pm di Roma. I magistrati sospettano che i 20 milioni detenuti dal broker Giovanni Carenzio, che dovevano rientrare in Italia con l’aereo noleggiato dallo 007 Giovanni Zito, pagato da Scarano, appartengono ai due armatori, ndr), le aveva già fatte in passato anche per la nota famiglia Agnelli”. La rivelazione lascia di stucco gli investigatori. Potrebbe anche trattarsi di una millanteria di Scarano, magari basata su uno scenario suggestivo e noto.

Nell’indagine milanese dei pm Fusco e Ruta alcuni testimoni hanno raccontato che in una banca svizzera esisteva una provvista riferibile a Giovanni Agnelli di 800 milioni di euro e che dietro poteva esserci la Fondazione Alkyone di Vaduz, in Liechtenstein che indicava come protectors oltre a Giovanni Agnelli anche l’avvocato Franzo Grande Stevens, da sempre legale della Fiat e anche dello Ior. Chissà se Scarano, quando raccontava a Marcianò del rimpatrio dei capitali all’estero degli Agnelli, alludeva a queste storie pubblicate dai giornali. Marcianò spiega anche il metodo usato per spostare i capitali delle grandi famiglie del capitalismo italiano nascondendone l’origine grazie all’immunità diplomatica vaticana.

“Scarano mi spiegò – racconta Marcianò ai pm – che per fare ciò utilizzava un sistema con il cosiddetto ‘plico diplomatico’. Per quanto ho capito tale sistema consentiva di eludere ogni tipo di controllo per far rimpatriare in Italia capitali o anche documenti”. Il sistema adottato sembra preso da un film di 007: “Scarano dettava, non so se a piloti di aerei o a dei funzionari di banca, una password o codici identificativi formati da diversi caratteri numerici, che per quanto ho potuto capire, servivano per operare sui conti correnti”. Marcianò racconta di avere assistito a questa scena: “Eravamo in macchina nella seconda metà del 2011 io e Nunzio e rispondendo al telefono Scarano disse a un interlocutore: ’aspetta che ti do i codici’; Nunzio riferì a memoria un codice e riferì i nominativi di personale che sarebbe stato presente su un volo privato che trasportava i plichi diplomatici. Nella seconda metà del 2011, Nunzio Scarano mi ha riferito di essersi recato in Lussemburgo, per portare documentazione contabile del Vaticano”.

Con un amico monsignore così, Marcianò non si stupiva troppo quando vedeva girare furgoni con i lingotti d’oro nascosti tra gli ortaggi: “In Vaticano nel piazzale-parcheggio antistante la palazzina dello Ior, ebbi modo di notare nell’estate del 2012 delle borse di cuoio semiaperte dalle quali si intravedevano chiaramente lingotti d’oro. Venivano caricate su furgoni obsoleti. Ciò avvenne in due circostanze: una volta fu caricato un Fiat Ducato contenente ortaggi tra i quali furono caricati tre o quattro borsoni contenenti i lingotti d’oro. In un’altra circostanza invece fu utilizzato un furgone-frigo, sul quale però non ricordo quanti borsoni vennero caricati”. Marcianò si sorprende e chiede a Scarano “dove portassero i borsoni contenenti i lingotti d’oro. Nunzio non mi rispose e rimase in silenzio anche quando gli dissi: ‘fate tutti questi impicci in Vaticano!!!’”.

Dopo queste rivelazioni, Scarano è stato convocato d’urgenza dai pm romani. Come il Fatto ha già raccontato, nell’interrogatorio dell’8 luglio con i pm Nello Rossi e Stefano Pesci nel carcere di Regina Coeli, ha esteso il discorso all’Apsa dove faceva il capo contabile prima di essere sospeso per l’indagine. Ai pm ha detto: “Arrivai 22 anni fa. Di recente ho chiesto udienza al Santo Padre perché non ero soddisfatto di come andavano le cose all’Apsa”. A questo punto i pm chiedono particolari e seguono nel verbale lunghi omissis. Al Fatto risulta che Scarano abbia nominato nell’interrogatorio anche il direttore dell’Apsa, Paolo Mennini, figlio dell’ex direttore dello Ior Luigi Mennini e fratello del nunzio apostolico a Londra, Antonio Mennini, del quale ha illustrato i rapporti con la famiglia romana dei Nattino, titolare di società fiduciarie e di una banca di investimento, ma attiva anche nel settore immobiliare con fondi che gestiscono anche patrimoni pubblici.

Scarano sarà sentito ancora dai pm romani la prossima settimana: ha deciso di collaborare e dopo l’indagine sullo Ior si annuncia un’inchiesta bis sull’Apsa. Non a caso papa Francesco ha creato una commissione per mettere mano a tutti gli enti economici del Vaticano.

Da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2013

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